Curare l’inferma

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Cura. Una parola profonda, metaforica, impegnativa e, per certi versi, anche confortante. Riferendo il termine e l’attività che ne deriva alla nostra Penisola (come si fa ad odiarla e ad amarla totalmente?) mi verrebbe sùbito da pensare che l’Italia nel corso degli ultimi 20-30 anni abbia ricevuto un’infinità di cure senza mai guarire, forse perché nel nostro Paese si è ormai assuefatti all’idea (perpetrata dai medici di governo e accettata passivamente dai circa 60 milioni di “malati” del Paese) che si debba curare ma non guarire. Due azioni abbastanza diverse tra loro. Ebbene, a mio avviso, in Italia si è cercato costantemente di curare (inutilmente) la malattia, ma sistematicamente innumerevoli e cicliche si sono rivelate le lesioni, gli acciacchi, le ferite del Belpaese, tutti appartenenti a tipologie diverse: danni culturali, ambientali, morali, socio-economici, politici e così via. L’elenco rischierebbe di essere infinito se non mi fermassi. L’Italia avrebbe bisogno di massicce iniezioni della sua stessa Cultura, con la “C” maiuscola e nel senso più lato del termine, una sorta di cura omeopatica, insomma. Mi spiego meglio: le soluzioni, i ripari a decenni di cattiva amministrazione politica e quindi “civica” (rimanendo ancorati saldamente all’etimologia unica e vera del termine derivante – non me ne vogliate – dall’antica Grecia) vanno ricercati, scovati e tirati fuori dall’immenso patrimonio giuridico-amministrativo (abbiamo ancora qualche legge scritta o normativa che il mondo ci invidia) storico-artistico, archeologico, ambientale/paesaggistico che l’Italia stessa, sin dalla sua fase embrionale è stata in grado di produrre. La chiave di volta è a portata di mano se solo si studiasse o si ripassasse l’universale vademecum politico-culturale del Paese: la Carta Costituzionale.

Qualche mese fa questa Carta è stata rispolverata e rinfrescata da Roberto Benigni che è stato in grado di (in)trattenerci per quasi 2 ore sulla lettura e l’esegesi di un testo giuridico, divenuto per un attimo poesia pura, sogno, avventura, indagine, curiosità e ricetta. La ricetta per risollevare la “malata” Italia è già scritta da tempo ed è a nostra disposizione, fruibile e, magari, migliorabile o integrabile. “Quando la Costituzione entrerà in vigore, sarà bellissimo” ha detto a un certo punto il comico fiorentino in una sua battuta/verità e confesso che questa frase prima ancora di farmi ridere mi ha fatto immediatamente riflettere sul paradosso, sull’ironia della situazione italiana prodotta in questi ultimi anni, dove la maggior parte delle vicende, degli eventi, delle azioni politiche si dirigono esattamente in senso contrario alla rotta tracciata dai nostri Padri fondatori. La cura quindi esiste, ma è la volontà di guarire la “malata” che, sembrerebbe, sia scomparsa da tempo; basterebbe applicare, infatti, qualche principio attivo contenuto nella Ricetta Costituzionale, principi attivi che ovviamente non comporterebbero nessun effetto collaterale e dietro ai quali (quasi dietro a ogni singola parola della Ricetta) c’è un’intera “letteratura”, una lotta epica, un insieme di azioni nobili che hanno consentito, alla fine, di mettere nero su bianco una concezione, un orientamento, una mentalità, un progetto (non spaventi troppo la terminologia tecnica) invidiati e presi ad esempio da una buona fetta di mondo. Se c’è una “cura” da applicare alla nostra malata, gli ennesimi medici che andranno nuovamente ad operare dovranno individuarla nella malata stessa e cioè nelle sue norme e nel suo sconfinato patrimonio politico-culturale, quello sano e ancora nobile.

Vladimiro D’Acunto