Dissesto idrogeologico: la frana dei dissapori

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Se qualcuno nutrisse ancora qualche dubbio sull’importanza dell’insegnamento delle scienze della terra, proporrei loro di sfogliare i quotidiani nei mesi in cui le piogge sono più insistenti: alluvioni e frane si susseguono ad una frequenza mai avuta prima e sono sulle prime pagine dei quotidiani sotto la scritta a carattere cubitali “dissesto idrogeologico”. Nella notte tra il 5 e il 6 Febbraio 2014 è avvenuto ciò che tutti i cittadini di Montecorvino Rovella e Acerno (comuni della Provincia di Salerno) temevano: una frana ha spazzato via la strada regionale 164 all’altezza della località Isca. Tutti temevano un disastro del genere perché i gabbioni, posizionati anni or sono sul manto stradale, erano già inclinati da mesi: la terra aveva già incominciato a muoversi e nulla ormai avrebbe potuto arrestare il suo cammino. Le abbondanti piogge delle precedenti settimane hanno conferito al terreno un peso sempre maggiore e un grado di saturazione altissimo: una condizione che in gergo si chiama “non drenata” ha scatenato la frana (classificata come “frana per colamento” – la deformazione del terreno è continua lungo tutta la massa in movimento) e causato l’interruzione della via di comunicazione principale tra i due comuni salernitani. L’area interessata dalla frana è di circa 20.000 m2 con una profondità media di 1÷1,5 m e con un volume stimato di circa 20/30.000 m3: in poche parole, è avvenuto un disastro. Nei giorni immediatamente successivi la massa è stata in continuo movimento e se si fosse stati sul posto si sarebbero potuti ascoltare i rumori delle radici degli ultivi che, da ultimi baluardi naturali a difesa del proprio territorio opponevano la loro resistenza, venivano estirpati dal fronte franoso. Anni fa il problema fu sottovalutato e la tipologia di intervento scelta furono i gabbioni (quelli che per alcuni mesi sono stati inclinati per poi ribaltarsi…) e furono meramente poggiati al suolo. E’ un intervento non adatto a mantenere qualsiasi tipo di frana, anche quella superficiale, ma solo per piccoli smottamenti dovuti al declivio naturale delle acque piovane sul terreno. Quando ancora era in vita il compianto Padre Alfonso, custode del santuario della Madonna dell’Eterno posto a pochi metri più a monte, furono fatte delle piccole opere idrauliche atte a far drenare la affiorante falda. Oggi, in prossimità del traliccio della corrente elettrica posto a circa 100 metri dal santuario, il moto franoso ha fatto formare un laghetto, evidenza della falda imminentemente affiorante. A modestissimo parere di chi scrive, l’azione (fatta a fin di bene, per carità…lungi da me accusare o se preferite accusare previa indagine tecnica apprfondita) atta a far drenare e canalizzare le acque ha potuto negli anni scavare il piede della massa di terreno interessata. L’autorità di Bacino in destra del fiume Sele aveva già indicato la zona come “area a pericolosità da frana elevata” nel 2002. Intanto, già dai giorni successivi alla frana (il moto franoso più consistente è durato circa 5 giorni), il fronte è entrato nell’alveo del fiume Cornea (in sponda sinistra idraulica) e lo ha quindi deviato di alcuni metri. La soluzione a tale disastro è sicuramente onerosa: le opere di consolidamento del terreno e di drenaggio delle acque (con pali più o meno profondi e una manutenzione continua) avrebbero evitato tutto ciò, ma tant’è. I costi da affrontare oggi sono ancora più dispendiosi, vista la massa di terreno interessata e la Provincia di Salerno è sembrata titubante (ed è un eufemismo al momento) a intervenire. Se da un lato si sono fatti più o meno (per ciò che può essere la loro valenza provinciale…) sentire i politici locali, dall’altro non è mancata la risposta chiara dell’Assessore Provinciale ai lavori pubblici, secondo il quale “l’interruzione della strada regionale 164 è dovuta a un fenomeno esterno alla strada di competenza provinciale, per cui la Provincia si trova a subire un danno concreto per cause indipendenti della propria responsabilità”. E, in effetti,  l’alluvione o il terremoto è sì naturale purtroppo, ma prima o poi (a scanso di equivoci, propendo per il “poi”) dovremmo pur ammetterlo a noi stesso che l’ambiente siamo noi e siamo noi i custodi temporanei dei luoghi della nostra vita e che, prima o poi (questo è innegabile), dovremmo lasciare ai nostri figli e/o nipoti. Forse solo allora, quando sarà troppo tardi, ci guarderemo con onestà intellettuale allo specchio provando vergogna.