Elogio della fuga (e del bidet)

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“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare.”

Gabriele Salvatores apre così uno dei suoi film più belli, Mediterraneo, con un pezzo dell’Elogio della Fuga di Henri Laborit. A mio avviso uno dei registi che meglio ha saputo raccontare, in maniera scanzonata e sdoganata dalla quotidianità, i vizi e le virtù degli italiani. In particolare, il loro continuo bypassare i problemi con la soluzione della fuga, spesso vista come l’unica àncora di salvataggio. E allora, che si parli di un gruppo di soldati italiani smarriti su un isolotto greco o di Cristoforo Colombo, di Leonardo o di Balotelli, di Marco Polo o di Enrico Fermi, il risultato non cambia. Non siamo mai stati un popolo di profeti in patria; ce l’abbiamo nel DNA, noi italiani, la “Fuga” e se si torna a casa con la voglia di cambiar tutto si ritorna solo incazzati e con un pugno chiuso pieno di niente. Scappare è meglio. Non è una vigliaccata, ma l’unico modo di salvare noi stessi e forse, soprattutto, quegli altri rimasti a casa.

È con questo spirito che ho sempre guardato verso l’orizzonte senza troppa paura, ritenendomi un cittadino europeo a 360 gradi: posso dire di aver studiato in Polonia (dove ho fatto l’Erasmus), di aver scritto una tesi in Belgio (dopo aver vinto una borsa di studio), e da quasi due anni ormai vivo a Dublino, in Irlanda, dove lavoro in una piccola web company.

Ripartire adesso ? Senza dubbio… Mi viene da rispondere come i ragazzi che hanno girato il bellissimo corto “Dubbio made in Italy”, diretto e prodotto da Stefano De Marco e Niccolò Falsetti (http://vimeo.com/45967618): “Dopo un paio di settimane ti abitui al cibo scadente, ti abitui al caffè nei bicchieri di carta al pane che sa di plastica. Ti abitui alle corse per prendere la metro, a tutta questa gente che condivide poche centinaia di metri quadri ogni giorno, e non sa dirsi neanche “buonasera”. Ti abitui alla pioggia e al sole che sorge così presto, ti abitui alla nostalgia del mare, ti abitui ai mezzi che funzionano, alle strade pulite, ai bagni pubblici decenti ti abitui alla mancanza delle tapparelle, ti abitui ad essere puntuale, all’assenza del bidet, ai musei gratuiti, al lavoro gratificante. Ci si abitua a una lingua che non sempre puoi capire ma che è tua, agli stipendi proporzionati, alle tasse basse e a un eccellente livello di civiltà. Ci si abitua al sole pallido, alla calma delle campagne sterminate, all’olio buono e al vino del contadino. Ti abitui presto a tutto ciò, ma non per questo ti scordi tutto quello che hai lasciato. Se dovessi ripartire adesso? senza dubbio…”

Anch’io, per fortuna o purtroppo, mi sono abituato alla mancanza del (mio) mare, perchè qui posso usare i parchi solo come metadone. Può capitare di ritrovare addirittura un sano equilibrio, in questo esilio forzato. Andare via dall’Italia vuol dire capirla meglio, amarla di più; perché – come dice Erri de Luca – un addio può scaraventarti lontano, ma non riuscirà mai a rendere straniera la vita che ti sta alle spalle.

P.S. Eppure un giorno tornerò, indignato più che mai, e fonderò un partito populista-nazionalista, tutto improntato sull’unico, vero, orgoglio italico: il bidet.

Cristian Racioppi