Interviste impossibili: Salvador Dalì

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VLADIMIRO: Buongiorno, Maestro! Come sta?
DALÌ: Bene, molto bene, così come può star bene un genio del mio livello.
VLADIMIRO: Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí y Domènech, meglio noto come Salvador Dalì, più di 1500 opere realizzate! Sulla Sua personalità, George Orwell disse in un saggio che: “Uno dovrebbe essere capace di conservare nella testa simultaneamente l’idea che Dalì era, nello stesso tempo, un eccellente pittore ed un disgustoso essere umano. Una cosa non esclude l’altra né, in alcun modo, la influenza”. Cosa pensa di questo giudizio, Maestro?
DALÌ: Sono d’accordo con George. Mi piace molto l’idea di essere entrambe le cose nello stesso tempo. Tuttavia mi piacerebbe aggiungere: …disgustoso e megalomane essere umano”. Così è perfetto! Non si dimentichi, caro giornalista, che ogni mattina, quando mi sveglio, provo un immenso piacere: essere Salvador Dalì.
VLADIMIRO: Bene. Iniziamo da una cosa che sempre mi sarebbe piaciuto domandarLe: i suoi baffi. Perché?
DALÌ: Più o meno nel 1926 o ‘27 mi lasciai crescere i baffi che diventarono uno dei miei segni distintivi per il resto della mia vita. L’idea mi venne perché volevo imitare i baffi del celebre pittore Diego Velazquez, l’artista andaluso molto ammirato da me.
VLADIMIRO: Interessante. Parliamo della Sua principale tendenza artistica, il Surrealismo. Cosa rappresenta per Lei?
DALÌ: La risposta potrebbe trovarsi direttamente in una delle mie opere. Correva l’anno 1931: nel dipinto La persistenza della memoria (gli orologi sciolti) illustrai il mio rifiuto del tempo come entità rigida o determinata. In quest’opera è possibile vedere e capire questo concetto attraverso immagini, come, per esempio, il paesaggio sullo sfondo, o alcuni orologi da tasca divorati dalle formiche.
VLADIMIRO: Magnifico! Sa, Maestro, che nel mio ufficio ho un’unica opera sulla parete e questa è proprio La persistenza della memoria. Cosa rappresentano per Lei gli insetti del quadro?
DALÌ: Gli insetti rappresenterebbero, nel mio immaginario, un’entità distruttrice naturale e, come ho spiegato nelle mie memorie, derivano da un ricordo della mia infanzia.
VLADIMIRO: Capisco. Tuttavia Lei nel 1934 fu sottoposto, diciamo, ad un “processo surrealista”, da cui risultò la Sua espulsione dal movimento. Alcuni tra i surrealisti cominciarono a parlare di Dalì al passato remoto, come se fosse ormai morto. Cosa pensa a riguardo?
DALÌ: Le rispondo come già risposi a suo tempo: “Io sono il Surrealismo”.
VLADIMIRO: Parliamo del Suo stile di vita, del Suo comportamento, sempre molto eccentrico. Perchè?
DALÌ: Perché sono, come uomo e come artista, estremamente immaginifico. Ho sempre manifestato una tendenza al narcisismo ed alla megalomania, il cui scopo era attirare l’attenzione pubblica. Questa condotta, fortunatamente, irritava anche coloro che apprezzavano la mia arte.
VLADIMIRO: …E, se mi permette, giustificava i Suoi critici, che respingevano i Suoi atteggiamenti eccentrici, bollandoli come una reclame pubblicitaria a volte più vistosa della Sua stessa produzione artistica.
DALÌ: Sì, può essere. Non ho alcun problema ad ammetterlo. Non mi interessa ciò che dicono i critici. La gelosia degli altri artisti e, se posso aggiungere, dei critici, è sempre stata il termometro del mio successo. Comunque ho sempre attribuito il mio amore per tutto ciò che è dorato e risulta eccessivo, la mia passione per il lusso e per la moda orientale al mio lignaggio arabo, alle mie radici risalenti all’epoca della dominazione araba sulla penisola iberica.
VLADIMIRO: E’ proprio vero questo?
DALÌ: E chi può dirlo? Quien sabe?
VLADIMIRO: Mmm…Bene. Nel 1936, nonostante la Sua espulsione dal Surrealismo, Lei partecipò ad un’esposizione surrealista di carattere internazionale, a Londra, mi sembra. La Sua conferenza intitolata Fantasmi paranoici autentici, fu tenuta da Lei vestito da sommozzatore, con tanto di casco da palombaro. Lei arrivò alla conferenza, inoltre, con una stecca da biliardo e una coppia di segugi russi. Perché?
DALÌ: …E durante la stessa dovetti farmi togliere il casco perché stavo soffocando. Commentai a tutti che mi presentai in tal guisa perché volevo immergermi profondamente nella mente umana. Guardi, caro giornalista, l’unica differenza tra i surrealisti e me è che io sono un surrealista.
VLADIMIRO: Davvero strabiliante! Maestro, la Sua arte è molto peculiare, però, sicuramente una caratteristica costante è il Simbolismo. Sarebbe così gentile da spiegarmi, a Sua scelta, alcuni elementi ricorrenti nelle Sue opere?
DALÌ: Volentieri. L’elefante, per esempio, è una distorsione dello spazio, con le sue zampe filiformi contrasta l’idea dell’assenza di peso della struttura. Dipingo generalmente immagini che mi riempiono di gioia, create con assoluta naturalezza, senza la minima preoccupazione per l’estetica; cerco di realizzare cose che mi ispirano un’emozione profonda e tento di dipingerle con onestà. Un altro dei miei simboli ricorrenti è l’uovo, che si allaccia ai concetti di vita prenatale intrauterina e, a volte, si riferisce al simbolo della speranza e dell’amore.
VLADIMIRO: Si riferisce alla Sua Metamorfosi di Narciso?
DALÌ: Anche. Ho fatto spesso ricorso ad immagini di fauna nel corso della mia attività artistica: formiche come simbolo di morte, di corruzione e di un intenso desiderio sessuale. La chiocciola intesa come la testa umana, ad esempio, derivò dal fatto che una volta vidi tale animale su una bicicletta nel giardino del mi amico Freud quando andai a visitarlo. Infine, le aragoste rappresentano simboli di decadenza e terrore.
VLADIMIRO: Molto interessante! Continuiamo con qualche domanda più intima. La Sua famiglia: mi riferisco, in particolare, al legame con Suo padre.
DALÌ: Mio padre si opponeva alla mia relazione con Gala e, inoltre, condannava il mio legame con il pensiero surrealista, considerandolo, come buona parte dell’imbecille opinione pubblica, un impasto di elementi tendenti alla degenerazione morale.
VLADIMIRO: La rottura definitiva accadde quando Suo padre, Don Salvador Dalì y Cusì, in un giornale di Barcellona lesse che Lei, a Parigi, espose un disegno, il Sacro Cuore di Gesù Cristo, dove c’era una scritta in cui si leggeva: “a volte, per divertimento, sputo sul ritratto di mia madre”. Me lo conferma?
DALÌ: Corretto. Offeso, mio padre mi impose una smentita pubblica. Io mi rifiutai e fui cacciato da casa il 28 di dicembre del 1929, fui diseredato e mio padre mi intimò di non ritornare più a Cadaquès. In seguito, mi presentai comunque da lui mettendogli in mano un mio preservativo usato, contenente il mio sperma e gli dissi: “Ecco. Adesso non ti devo più nulla”.
VLADIMIRO: Parole dure ma, a mio avviso, geniali.
DALÌ: Merci beaucoup.
VLADIMIRO: Il secolo scorso ci ha donato due grandi artisti: Lei e Picasso. Cosa pensa di quest’ultimo?
DALÌ: Picasso è un genio. Come me. Picasso è un comunista. Io no.
VLADIMIRO: Parliamo, invece, di Luis Buñuel: Come lo conobbe?
DALÌ: Ah, il mio caro Luis, grande regista!! Luis era mio amico sin dalla casa dello studente dell’Università! Nel 1929 collaborai con lui nella redazione del polemico cortometraggio, Un chien andalou, nel quale si mostravano scene tipiche del mio immaginario surrealista. Lavorai come co-sceneggiatore del film di Luis, un corto di 17 minuti che include alcune delle immagini antologiche del surrealismo (come l’occhio reciso con un rasoio da barbiere). Questo film è il mio contributo più notevole al mondo del cinema indipendente. Un chien andalou fu lo strumento grazie al quale inserii le mie immagini oniriche in una dimensione reale.
VLADIMIRO: La successione delle scene provoca nello spettatore un torrente di sensazioni, che svegliano una serie di aspettative che mai si compiono. Fenomenale!
DALÌ: Sì. Fu un film davvero straordinario.
VLADIMIRO: E la politica? Dove si colloca politicamente Salvador Dalì?
DALÌ: Fui accusato di sostenere il franchismo. E, in parte, diciamo che è vero. Mi riferisco a quando mi congratulai con Franco per le sue azioni dirette a “ripulire la Spagna dalle forze distruttive”. In realtà, mi ero ormai convertito al cattolicesimo ed intendevo con “forze distruttive” i gruppi comunisti, socialisti ed anarchici che durante la guerra civile avevano trucidato più di 7000 monache e sacerdoti. Ho anche conosciuto personalmente Franco e feci un ritratto a sua nipote. Tuttavia, nessuno può determinare se i miei atteggiamenti nei confronti del franchismo furono sinceri o capricciosi ed io non intendo dirlo. Comunque, una delle vicende in cui mostrai un’indubitabile disaffezione al regime fu il polemico omicidio del mio caro amico e grande poeta Federico Garcìa Lorca, ucciso dalle milizie nazionali; poeta che ho sempre elogiato, anche negli anni in cui l’opera di Federico era ufficialmente proibita dal regime.
VLADIMIRO: Capisco. Tuttavia Lei fu legato anche all’anarchismo e al comunismo. Nei Suoi scritti emergono affermazioni politiche – probabilmente più dirette ad impressionare il pubblico per la loro radicalità che basate su un’ispirazione profonda – che indicano un certo legame con l’attivismo politico del dadaismo.
DALÌ: Sì, confermo anche questo. Però con l’avanzare degli anni le mie adesioni politiche cambiarono, specialmente quando il Surrealismo si identificò con Andrè Bretòn, di orientamento trotzkista. In diverse occasioni, Bretòn mi chiese spiegazioni in merito alle mie idee ed ai legami politici. Alla fine mi dichiarai anarchico-monarchico, dando seguito a numerose speculazioni su questo orientamento politico.
VLADIMIRO: Bene, Maestro, finisce l’intervista. Un’ultima cosa. Lei è stato, a differenza di altri artisti molto ricco e celebre già nel corso della Sua vita. Quali sono stati gli incentivi, gli stimoli che l’hanno portato a diventare quello che Lei è?
DALÌ: All’età di 6 anni volevo essere cuoco; all’età di 7, essere Napoleone, poi la mia ambizione andò sempre crescendo fino ad ora.
VLADIMIRO: Grazie mille, Maestro Dalì.

Vladimiro D’Acunto