Istantanee – momenti del Giffoni Film Festival in un battito di ciglia – LUCA DE FILIPPO

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defilFuori dalle passerelle, dai riflettori, dalle (giuste) promozioni commerciali: il Giffoni Film Festival conserva ancora spazi culturali lontani da tutto ciò. Se ne è avuta prova ieri, quando l’occhio grosso della stampa era puntata su Tom Felton (l’attore che ha interpretato Draco Malfoy nella saga di “Harry Potter” e fatto impazzire centinaia di ragazzine presenti), mentre contemporaneamente un maestro del teatro italiano (ma non solo) incontrava i membri della Masterclass, il settore di giurati che hanno superato i diciotto anni. Il maestro in questione è Luca De Filippo, figlio di Eduardo, titano della letteratura italiana che insieme a Dante condivide l’onore di essere generalmente identificato già solo attraverso il nome e non il cognome, tale è il suo apporto alla cultura del nostro Paese.
Gradevole e piacevolmente illuminante, De Filippo rispondendo alle domande imbastisce una vera e propria lezioni universitaria sul teatro, toccando argomenti altissimi (Gordon Craig e il suo concetto di supermarionetta, la natura religiosa del teatro classico primordiale, la sua liturgia laica) senza mai annoiare, perché non si è “maestri” a caso. Quando parla è un grande fiume che scorre, placido ma inarrestabile e ti trascina senza violenza avvolgendoti, conquistandoti e rinfrescandoti: “il teatro è un mezzo democratico” dice “non può esistere senza interlocutori (il pubblico) e soprattutto non si può controllare: accade e basta”. I ragazzi – decisamente attenti – portano il discorso sul teatro di oggi, che è soprattutto un teatro statale e dunque economico/manageriale; “il problema è che i teatri non sono più diretti da artisti, ma burocrati. Non si può dare la gestione di un luogo di immaginazione a persone senza fantasia”. A chi gli domanda del suo ruolo nel mettere in scena i lavori del padre (e in generale di un autore) risponde “mi sento come un burattino nella mani di un burattinaio che sono io stesso”. La sua visione del teatro è sconsolante (“vedo un teatro borghese, compreso quello che faccio io”), percependo una realtà triste, grigia, a tratti decadenti del teatro italiano. E nel mentre ci illustra il rapporto tra teatro borghese, teatro puro e realtà, ci omaggia di un premio inaspettato regalandoci una frase che suo padre gli consegnò in merito: “cerca la forma e troverai la morte, cerca la vita e troverai la forma”. Miracolo e magia: Eduardo ci consegna il teatro di Eduardo spiegato, sviscerato ed esaurito in un solo motto. Il finale di “Natale in casa Cupiello”, gli stracci degli attori, la realtà dei quartieri napoletani (di una volta), la tecnica attorica, l’amore, la passione, le urla sguaiate che sembrano uscite dai vicoli, la mimica facciale, le pause teatrali, il dialetto napoletano che scavalca se stesso per divenire lingua universale, la femminilità, la tragedia eterna insita nella vita, la commedia e l’arte della commedia, la Napoli come teatro della realtà che a seconda dei casi diventa Sicilia pirandelliana o isola shakespeariana, gli interni borghesi contrapposti agli spaccati dei bassi popolari: tutto ciò è condensato in quelle poche parole. Ancora una volta, Eduardo vive e palpita attraverso le sue stesse parole e noi siamo in uno stato di grazia perché consegnateci dalla persona che lo rappresenta meglio in assoluto.
Luca De Filippo, parentesi magnifica di un Giffoni non più vetrina di ospiti ma teatro di cultura.

 

Danilo D’Acunto