La musica della Grande Mela

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Canta, suona la città che non dorme mai. Dagli angoli delle strade alle parate, dai club ai grandi centri musicali importanti in tutto il mondo. È difficile orientarsi nella varietà di voci e generi, ci sentiamo alienati, smarriti, un po’ come Sting nella sua canzone Englishman in New York. Ci ritroviamo da un capo all’atro della città, a spaziare nel tempo senza un filo conduttore. Eccoci per i teatri di Broadway, dalle sue origini che mettevano in scena “L’opera del mendicante” (raccolta di ballate), al più moderno “Oklahoma!” definito un book musical con canzoni e danze integrate alla trama. Assaggiamo un po’ di storia americana con l’orchestra filarmonica di New York. Fondata nel 1842, è famosa per essere la più vecchia orchestra in attività negli Stati Uniti e per l’esecuzione di repertori classici alternati con brani moderni scritti/composti per l’occasione. Riempie d’orgoglio constatare che Arturo Toscanini, direttore d’orchestra italiano, ha contribuito a rendere grande quest’orchestra negli anni ’20-’30 del ‘900. Al primo accenno di ritmo sincopato siamo catapultati al fianco dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, tra feste, eccessi e avventure esaltanti della sua età del jazz. Riviviamo le performance del primo Duke Ellington al Cotton Club, le improvvisazioni vocali (scat) della regina del jazz degli anni ’40, Ella Jane Fitzgerald , l’elitario bebop, veloce e dissonante di Charlie “Bird” Parker e Dizzy Gillespie, il cool e modal jazz del genio indiscusso Miles Davis, fino a quel free jazz fuori dagli schemi di John Coltrane e Art Blakey, che rispecchiava la voglia di cambiamento e ribellione del popolo dei neri contro le violenze dell’establishment americano. Passeggiamo con la fantasia per la strada dedicata a uno degli idoli di New York, Joey Ramone cantante dei Ramones, memorabili i suoi concerti al CBGB, locale divenuto un punto di riferimento per la scena punk rock, hardcore e post-hardcore newyorkese. Per giungere fino al murales che commemora Joe Strummer, altra leggenda  del punk rock che prima ha infiammato la scena londinese con i Clash e successivamente è stato accolto come suo figlio dalla Grande Mela. Tuffiamoci nei block party delle comunità afroamericane e portoricane del Bronx, Queens, i DJ degli anni ‘70 estendono il break (parti di sole percussioni) e affondano le radici dell’Hip Pop. In seguito grazie a una sperimentazione maggiore e un suono sempre più costruito dei campionamenti, i rapper cominciano a dare più importanza alla stesura dei testi e alla tecnica espressiva. Gruppi come Run D-M-C, Public Enemy, Beasty Boys apriranno un’età d’oro di questo genere e faranno di New York la mecca dell’Hip Pop degli anni ‘90. L’età moderna è caratterizzata dagli stili gangsta rap con liriche violente e aggressive e dall’hardcore rap che abbraccia i temi quali povertà, alcool e rivalità tra bande. Infine, riversiamoci nelle numerose parate che si tengono a New York. Tra suoni di ottoni, cornamuse, folletti e danzatori nel verde di San Patrizio. Nella danza del leone rosso, tra tamburi e cimbali del capodanno cinese e tra carri allegorici a forma di caravella e bande musicali  che sfilano nel Columbus Day, nell’anniversario della scoperta dell’America da parte del navigatore genovese Cristoforo Colombo.

Diverse culture, etnie e religioni. Il segreto di New York risiede nel suo melting pot. Questa mescolanza di infinite voci ha dato vita a nuovi generi e slang musicali. Non meravigliamoci di considerarla una seconda patria, sentendoci parte di lei nelle note di New York New York di Frank Sinatra.

E’ opportuno inoltre ricordare che un nostro compaesano di Montecorvino Rovella, il Maestro e direttore d’orchestra Giuseppe Lanzetta, proprio quest’anno è stato ospite del Carnegie Hall di New York in qualità di Guest Star Conductor. Per la serie, ancora una volta… nemo propheta in patria.

 

Giulio D’Ambrosio