L’arte nella memoria

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Bambini nella camera a gas, Shimon Balicki

Una data cruciale. Forse meglio definirla famigerata. Una scrittura storica fatta con gli artigli, indelebile come la malvagità apportata, il sangue disseminato. Vergognosa, dolorosa, oltraggiosa. Atroce come i crimini architettati. Breve ma intensa. Da non Cancellare. Per non Dimenticare. Senza mai Obliare. Un gioco tra minuscole e maiuscole. Tra minuscoli carnefici capaci di queste azioni e maiuscole vittime pronte a patire solo per essere ebree dalla nascita.
Anche se lontana nel tempo, la Shoah è stata una causa che ho sentito sempre mia, vicina per grado di sensibilità e forte umanità. Il mio studio è durato anni e, probabilmente, non è ancora iniziato. Infinita risulta la mole di libri da sfogliare, interviste da ascoltare, frasi di memorie e diari da evidenziare, film da criticare, pièces teatrali da analizzare. Ho cercato, però, di sintetizzare i messaggi, i concetti, le emozioni – anche quelle negative che turbano la nostra coscienza prendono questo nome – in poche, essenziali parole. E le ho offerte a loro, studenti francesi di giovane età, senza sfondare a calci le barriere storiche, senza spaventarli con discorsi pregni di terrore. Hanno recitato una piccola piéce teatrale che ho scritto per loro, dove tutti i colori scendono in scena cercando di accaparrarsi un posto da protagonista, mostrando odio e crudeltà nei confronti dei fratelli. Ma capiranno, ben presto, che un giovane ragazzo ha bisogno di tutti loro per colorare la bandiera della memoria per i crimini di guerra nei campi di concentramento. Per il resto, mi sono servito ancora dell’Arte e delle Sue immagini. Sì, quelle crude “immortalizzazioni” che parlano da sole, che si esprimono con un dizionario plurilingue e che sono capaci di lasciare un’impronta duratura nel tempo. Un segno in grassetto nella memoria. La pittura, la letteratura, il teatro, il cinema: ognuna a suo modo, ne parla ancora. È di queste parvenze che dobbiamo servirci. E così il drammaturgo spagnolo Juan Mayorga rivede l’evento più tragico del ‘900 da una prospettiva nuova e crudelmente paradossale: in Himmelweg rilegge il passato alla luce del presente. Lo spettatore diventa il co-protagonista dell’opera e alla sua immaginazione, alla sua scrupolosità affida il compito di riempire i vuoti di una scena minimale, scarna, dove l’arredo è solo il dolore di quei tempi. E così John Boyne scrisse il suo romanzo, tradotto in 32 paesi e pronto a ispirare l’omonimo film di Mark Herman Il bambino con il pigiama a righe. La storia parla del dramma attraverso gli occhi di Bruno, nove anni e un destino in agguato, quasi come punizione per un padre, crudele generale nazista, al servizio del Führer. Questa volta, il sorriso del nostro amato Roberto Benigni che presentava al figlioletto la tragedia come un gioco a premi in una vita che tanto bella non era, non basterà a celare l’orrore che sta accadendo. E così il premio Nobel per la letteratura, di famiglia ebraica ma di origine italiana, Patrick Modiano, personificando la Memoria, le attribuisce valori di preziosità e al contempo di fragilità. Sarà la nostra perseveranza a renderla più forte dell’oblio: quel velo grigio e spietato sulle vite dei sommersi, che gli stessi nazisti cercarono di offuscare, spogliando gli ebrei delle loro identità, numerandoli come pezzi e ammassandoli come materiale organico. Insomma in questo mondo dove pensiamo troppo e sentiamo poco, la memoria livida e mai patetica della Shoah, possa farci comprendere razionalmente dove l’odio e la crudeltà conducono l’uomo, senza mai delegare un’unica giornata – il 27 gennaio – al ricordo dei soprusi perpetrati. Era quella, “gente senza anima, uomini macchina, con macchine al posto del cuore e del cervello”. Anche Charlie Chaplin, che di mestiere faceva il comico, fu moralmente severo e rigoroso!

Michele Carucci