Lupercalia – Un “San Valentino” di quasi 3000 anni fa

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1833

Un rituale strano e molto particolare quello dei Lupercalia (o Luperci), ma soprattutto remoto, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Luogo di nascita: Roma antica (ma davvero antica). Si trattava di festività romane in onore di Luperco Fauno, un dio risalente all’origine stessa di Roma e quindi ai due fratelli Romolo e Remo. L’etimologia del nome di questo dio poco conosciuto nella sfera religiosa romana sembra sia fatta risalire al termine lupus di ovvio significato associato a Fauno che deriverebbe dal verbo latino fàveo e cioè “favorire”, “propiziare”. Antica divinità pastorale italica (identificata con il suo corrispettivo greco Pan) figlio di Pico Marzio e nipote di Saturno, Luperco Fauno aveva il dono della profezia e il suo oracolo era a Tivoli. Da Fauna ebbe dei figli chiamati appunto Fauni e dalla ninfa Marica ebbe Latino, mitico re d’Italia che introdusse il culto degli Dei e dell’agricoltura. Connessi al culto di Luperco, protettore delle greggi dai lupi, erano proprio i Lupercalia, rituali dal marcato carattere apotropaico e propiziatorio.

Lo storico Plutarco nelle Vite parallele (Vita di Romolo) ci tramanda 2 racconti che spiegherebbero il rituale. Una storia (riportata a sua volta da un certo Buta) narra che Romolo e Remo, dopo aver sconfitto Amulio, corsero trionfanti al luogo in cui la lupa li allevò da piccoli; in tal senso i Lupercalia si configurano come una sorta di memorial di quell’evento e il rito con cui si toccava la fronte dei protagonisti della cerimonia (i Luperci appunto) con la lama intrisa di sangue sacrificale si riferiva al rischio di morte corso dai gemelli, messi in salvo dal latte della lupa. L’altra leggenda (che fa capo a Gaio Acilio) spiega che, prima della fondazione di Roma, il gregge di Romolo e Remo sparì e, dopo aver supplicato Fauno, si slanciarono nudi alla ricerca degli animali per non essere ostacolati dalle tuniche nell’affannosa ricerca.

Il poeta Ovidio racconta un’altra leggenda. Successivamente al famoso “ratto delle Sabine”, le donne rapite diventarono sterili, così uomini e donne pregarono in un boschetto supplicando Giunone che rispose loro risuonando tra le chiome degli alberi dicendo: Italicas matres, inquit, sacer hircus inito! Cioè “Sacro capro, penetra le madri italiche!” (Fasti, II, 425-452). Dopo un primo e generale sbalordimento, un indovino etrusco sciolse e interpretò l’oscuro responso, sacrificando un capro e ricavando fèbrua, (da cui deriverebbe il nome Febbraio) cioè “strisce” dalla sua pelle in modo da sferzare le donne rapite sul dorso per vincere la sterilità.

Da tempi immemorabili, quindi, nei giorni che vanno da 13 al 15 febbraio sul Palatino, presso la grotta detta Lupercalis dal nome della lupa, i sacerdoti del dio, i Luperci, correvano per le vie indossando solo una specie di perizoma in pelle di capra e in una mano il coltello insanguinato del sacrificio, nell’altra le sferze con cui percuotevano le donne che incontravano al fine di favorirne la fecondità. Nel corso di queste festività molte donne colpite da sterilità facevano a gara per farsi battere dalle sferze dei Luperci proprio per contrastare quella che consideravano una terribile sciagura.

Vladimiro D’Acunto