NON CI RESTA CHE RIDERE. Fili rossi sempiterni: la dimensione ludica dell’arte

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L’attività ludica è la forma di espressione privilegiata dall’uomo, lo strumento attraverso il quale si rapporta a se stesso, esplora il mondo circostante, ha la possibilità di combinare in maniera personale e creativa le informazioni… le indicazioni. Ha, inoltre, una carica insostituibile sul piano affettivo e relazionale, in quanto permette di sperimentare regole e stili di comportamento sociale. Il gioco è iniziazione, è appartenenza, è approccio alla realtà, è apprendimento della vita associata, ma è anche risoluzione di conflitti interni, è prova di verifica di se stessi e delle proprie capacità autonome, è paura, è rassicurazione di potercela fare. È quindi vittoria su di sé. Le nostre abituali cognizioni riescono difficilmente ad accostare il rigore e la serietà dei fenomeni artistico-culturali più elevati alla spensieratezza del gioco e alla sua immaginosa gioiosità. Gioco e cultura sembrano appartenere a sfere contrapposte. Il nostro fine ultimo è connettere, con un monocromatico filo invisibile, due poli differenti. Due vertici antagonisti. A un’estremità regna il comune principio di divertimento, di turbolenza, di libera improvvisazione e spensieratezza vitale: il Gioco. All’estremità opposta, un’esuberanza artistica, spontanea, capricciosa, assorbita da una tela, da un affresco, da una rappresentazione teatrale. Gli orizzonti dell’Arte non si intravedono che all’infinito! Il gioco è libertà e nell’arte ci si libera. Il gioco ci sobbalza dalla sfera monotona del quotidiano e l’arte ci catapulta in briose ed effimere prospettive. Insomma il gioco si fissa come forma di cultura. Giocato una volta, permane nella memoria come un ricordo, come un tesoro dello spirito da tramandare e ripetere in qualsiasi istante.
Il gioco vincola e libera. Attira l’interesse. Affascina e incanta. E’ ricco di due delle qualità più nobili che l’uomo possa riconoscere nelle cose: il ritmo e l’armonia. Non sono queste, due pietre miliari della musica? Non è quest’ultima l’arte del comporre gradevoli effetti sonori?
Similmente la poesia utilizza il significato semantico delle parole, coadiuvato al suono e al ritmo, per trasmettere un messaggio, uno stato d’animo in maniera evocativa. La poesia è un gioco misterioso di sillabe e di emozioni. Un viaggio a ritroso nel tempo ci attende. Destinazione 1400. Si perché nel Rinascimento si afferma la convinzione che il gioco non è solo svago, ma un impegno serio, con traguardi da raggiungere. Dopo la cupezza medievale, quando divertimento faceva rima con peccato, nel Rinascimento giocare diventa… trendy. L’Umanesimo pone l’uomo al centro dell’universo e con lui tutte le attività creative: le arti, la storiografia, la scienza, l’esplorazione, la cartografia, la botanica e la magia. E nella caleidoscopica inventiva dei geni del tempo – come Leonardo Da Vinci, che, tra l’altro, disseminò i suoi codici di rebus, e Michelangelo Buonarroti, che invece inventava enigmi –, ci sta anche il gioco: la prima forma di espressione della creatività, dato che si comincia a praticarlo – e a inventarlo – nell’infanzia. Sul finire del ‘500, nasce la tradizione giullaresca: la Commedia dell’Arte, vero contenitore teatrale di scenografia, musica, letteratura, poesia, acrobazia, giochi e maschere. I comici dell’arte, manipolatori del loro repertorio, improvvisavano sulla scena un personaggio, intorno ad un soggetto o argomento – canovaccio –, animandolo con il proprio estro inventivo – il lazzo –, e utilizzando le maschere – da quella napoletana di Pulcinella, passando per la veneziana di Pantalone, piuttosto che l’Arlecchino e la Brighella bergamasche. Il teatro è sostanzialmente un gioco, un videogame fatto di carne, sangue, cuore e sudore. Sì, il teatro è un animato ludus che può far piangere, ridere, pensare: a volte è straziante, altre volte noioso, in alcuni casi esilarante.

Come tutti i giochi ha le sue caratteristiche, le sue regole e le sue trasgressioni. Uscire da questi precetti fa
perdere valore al teatro stesso e ai suoi

 

 

 

 

 

 
stilemi.
Nel Medioevo la Chiesa aveva considerato il gioco come attività demoniaca, che distoglieva l’attenzione del credente da Dio e dalla preghiera, ma la corrente letteraria cinquecentesca, a partire dal XIV secolo, recupera le tradizioni ludiche del mondo classico greco e latino. Rielaborandole, le proietta verso il futuro. La letteratura provvede ad accrescerne il valore: in Gargantua e Pantagruel – scritto da François Rabelais nel 1532 – sono elencati oltre duecento giochi in cui si esibiva il gigante Pantagruel, emblema dell’uomo rinascimentale. Del resto il legame tra arte e situazioni piacevoli è stato sempre alla base delle opere più significative, specie nella nostra cultura, tanto è vero che già Orazio, poeta latino, aveva fornito con il suo mescere l’utile al piacevole, elementi sufficienti agli autori del tempo e a quelli successivi, di ancorare le componenti estetiche di un’opera d’arte a una funzione di divertimento.
Last but not least, il cinema. Nel film “Non ci resta che piangere” l’indimenticabile Massimo Troisi, catapultato indietro nel tempo, riceve istruzioni da una leggiadra fanciulla su come giocare a palla: in effetti, nel Rinascimento, il più italiano degli sport era già praticato con molta passione.
Riflettori accesi sui più squisiti binomi: il termine gioco viene fatto reagire con i variopinti ambiti artistici. Se i matematici dicessero: “Ludus sta a cultura artistica come libertà sta a creatività”, qualcuno si opporrebbe a questa deliziosa proporzione?
La valorizzazione dell’arte e del gioco viaggiano a braccetto.