Paolo Sorrentino – Da “L’uomo in più” a “La giovinezza” e oltre

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“Paolo è uno dei più grandi registi al mondo”, ha proclamato Sir Michael Caine alla conferenza stampa di Youth a Cannes lo scorso 20 maggio, in contemporanea con l’uscita del film nelle nostre sale. Niente di nuovo. Che Paolo Sorrentino, 45enne nato nel quartiere del Vomero, sia un nome di spicco nella cinematografia internazionale è ormai sotto gli occhi di tutti. Anzi, dopo la consacrazione dell’Academy con l’Oscar per il miglior film straniero a La grande bellezza (recensito su queste pagine), anche i più scettici hanno dovuto ricredersi. Gli enormi incassi di Youth – La giovinezza, ultima fatica del regista, si spiegano soprattutto così in un Paese che ha conosciuto Paolo soltanto al suo terzo lungometraggio. Il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani lo aveva, infatti, già consacrato col Nastro d’Argento al miglior regista emergente nel 2001, quando Toni Servillo aveva interpretato il protagonista del suo primo lungometraggio, L’uomo in più. Ma il cosiddetto grande pubblico si è accorto di lui soltanto nel 2008, quando Il divo, presentato alla kermesse francese e interpretato ancora una volta da Servillo, ha suscitato l’interesse di tutti, perfino dell’impassibile Giulio Andreotti. “Divo” era proprio uno dei suoi soprannomi, ed è di lui che si parla, del suo misterioso essere sempre, in qualche modo, coinvolto negli incredibili eventi che l’Italia ha visto accadere (e un po’ subìto) in quei lunghi anni. Premiato dalla critica di Cannes, Il divo rappresenta dunque la consacrazione internazionale di Sorrentino. Non solo: è in questa occasione che Sean Penn, presente nelle vesti di presidente di giuria, si è dichiarato intenzionato a lavorare con il regista italiano. Ed è sempre qui che verrà presentato, nel 2011, il frutto di questa collaborazione: This must be the place. È il primo film in inglese di Paolo, che per l’occasione, diversamente dal solito, non ha scritto la sceneggiatura da solo, ma si è fatto aiutare da Umberto Contarello. Il risultato è un insieme eterogeneo di frammenti, di fili, che a mano a mano si ricompongono nella figura di Cheyenne/Sean Penn. La pellicola delinea molto bene le caratteristiche dello stile “sorrentiniano”. Anzitutto i grandi attori, sfruttati al meglio nelle loro doti e nella loro immagine, in modo che apportino un valore tutto personale all’opera. In secondo luogo le musiche, che sono scelte con cura maniacale dai più vari repertori e vengono riproposte in modo che il loro volume non copra i silenzi (che sono di grande importanza narrativa), ma arricchisca soltanto le immagini. Queste ultime sono proprio il segno più evidente dell’evoluzione del regista nella sua già lunga carriera: il loro punto d’arrivo, fino a ieri residente nella città eterna de La grande bellezza, oggi si è spostato un po’ più avanti, nell’albergo svizzero in cui il direttore d’orchestra ultraottantenne Fred Ballinger (il già citato Michael Caine) trova La giovinezza.

youth-locandinaIl settimo passo cinematografico di Paolo è quasi un peccato di gola per gli occhi, un (altro) saggio di estetica, che come sempre affronta i temi cari al napoletano: gli artisti, la loro visione di sé, la storia, il camminare, Napoli stessa, onnipresente nella sua produzione (il caffè solo citato da Cheyenne e Maradona in Svizzera sono solo due esempi). E poi il tempo. Se a noi può sembrare strano che un artista di mezza età si ponga già fortemente il problema della vecchiaia e dello scorrere del tempo (presenza ingombrante anche nel precedente lavoro), per Sorrentino questo è “l’unico soggetto possibile, l’unica cosa che veramente ci interessa: quanto passa il tempo e quanto ce ne rimane”. Tuttavia, ha proseguito il regista durante la stessa conferenza stampa, “a qualsiasi età, se si riesce a mantenere uno sguardo sul futuro, si può essere giovani”.

Il suo futuro più prossimo è una serie tv con Jude Law, Il papa giovane (appunto!), ma noi restiamo sempre in attesa di un altro suo capolavoro da gustare sul grande schermo.