… Tempi Nostri … (3)

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Di Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte

 

… Tempi Nostri … (3)

 

Quella sera tutti andarono a dormire. Come tutte le sere. La luna splendeva alta sopra i monti che levandosi scuri verso la notte circondavano il paesello come a difenderlo. Anche se i tempi di scorribande risalenti ai secoli bui precedenti quel primo millennio che pure fu la fonte di angosciosi presagi di distruzione da parte delle forze della natura verso la natura stessa e l’intera umanità, erano ormai acqua passata, gli abitanti serbavano tuttora sentimenti di protezione verso quei monti. Ad uno in particolare erano particolarmente devoti, a quello che aveva dato natali, accoglienza e per ultimo anche il nome a quel gruppo di case raccolte alle sue pendici, a cui piano piano altre si erano unite arroccandosi sui costoni dominanti le valli che dolcemente accompagnavano ruscelli e fiumicelli giù verso la piana. Chissà se questo battesimo fu causa di infamia o di lode agli abitanti così come al territorio, fatto sta che la luna di quella sera sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe irradiato con i suoi raggi quel paesaggio, quelle colline. La natura aveva preso un impegno con se stessa, quello di sconvolgere nella notte il sonno degli ignavi paesani, stravolgere il profilo proprio di quelle colline che dolci accompagnavano i fedeli al santuario e deviando di molto i corsi d’acqua che allegri affioravano da secoli tra quelle valli. Alle tre del mattino, considerata da una cultura primitiva e superstiziosa quell’ora, l’ora del diavolo, un boato sordo, lungo, come il grido di un drago trafitto da mille spade, echeggiò sui tetti, scendendo già nelle piccole piazze, intrufolandosi nei vicoli, nei portoni, entrando nelle case fino a destare dai loro letti, sia chi dormiva il sonno dei giusti, molto pochi in verità, sia di chi del giusto se n’era sempre infischiato.

Fu così che giusti e non giusti, si trovarono nelle piazze o a interrogarsi nei vicoli stretti da un balcone all’altro, su cosa fosse accaduto e cosa aveva prodotto quel cupo boato che, sicuramente, echeggiava ancora per le valli scendendo già alla pianura. Soltanto l’accorrere di quelli che la natura seppe e volle risparmiare, avendo fatto loro scivolare accanto quella parte delle colline che univa il paese al santuario, salvando, come a volere lanciare un avvertimento, la loro vita e le loro case, fu motivo di chiarimento. Trafelati per aver percorso in fretta, il tragitto dalle loro abitazioni al centro del paese, giunsero quasi senza fiato, col cuore in gola, sia per lo scampato pericolo e sia per l’affanno del correre, alla piazza centrale dove già s’erano formati i soliti capannelli di persone che riunitisi in gruppi di quattro, cinque, sei persone, alcuni anche più numerosi, discutevano speculando sulla natura del lugubre boato che aveva svegliato l’intero paese. Fu così che quelli scampati alla enorme frana che aveva quasi spaccato in due il paesaggio informarono ai compaesani cosa fosse veramente accaduto.

Molti curiosi si recarono sul posto per meglio vedere da vicino la montagna ferita ma fu soltanto con la luce dell’alba che la frana si mostrò in tutta la sua raccapricciante spettacolarità. Fu come l’avverarsi di un evento da sempre temuto, esperti del territorio avevano ben profetizzato, che lì, proprio lì, qualcosa lentamente si muoveva nelle viscere della montagna e che il tempo non avrebbe tardato a dare loro ragione. Quella notte il tempo era venuto, come un ladro nella notte, aveva svegliato il drago dormiente che da secoli dimorava nella grotta sotterranea, la cui vicinanza con il santuario non era per niente un caso, e aveva squarciato la montagna.

Nessuno aveva avuto il coraggio di estrapolare i significati di quell’evento. Quella frana altro non era il segno evidente di una paese che stava franando nel senso più profondo del temine. Franava nella tenuta sociale delle istituzioni, franava nella volontà dei cittadini che si adoperavano per migliorare quella collettività essendo sempre più quelli che, rinunciandoci, si facevano da parte, franava nelle buone intenzioni delle forze politiche, a prescindere dal colore, ancora non illuminate dall’idea che la buona volontà non basta per trasformare un paese o per avanzare fino al successo un qualsivoglia progetto, ma si abbisogna, oltre al desiderio, anche di competenze, esperienze e, soprattutto, di integrità di spirito.

Anche la madonna si era allontanata da quella comunità, per via della frana che aveva trascinato con sé una buona porzione della strada che collegava il santuario al paese e, come a distaccarsi dal profano di quella collettività, si era isolata in eremitaggio nel suo santuario, elevandosi nello spirito, così che molti avrebbero rinunciato a portarle preghiere e invocazioni. Ma questo, per i fedeli, era veramente difficile da intravedere, perché per loro, come per tutti gli altri abitanti, quella frana, alla fine era solo uno slittamento di una zolla collinare. Niente di più.