Vita da mercante – Parte II

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Nella I parte di quest’articolo ci siamo congedati concludendo che la figura del mercante, per quanto infida agli occhi di molti, rappresentava in realtà qualcosa di più profondo e diversificato. La professione del mercante era, infatti, una professione estremamente difficile e competitiva che implicava e ancora implica una serie di aspetti particolari: calcolo, vantaggio improvviso, previsione, cattura dell’attimo propizio (il famoso kàiros dei Greci), la capacità di fare della debolezza altrui la propria forza, intuizione repentina, etc.

L’insieme di tali caratteristiche paragonavano il mestiere del mercante al più agonistico dei mestieri: l’atleta. Il commercio somigliava, infatti, molto ad una gara, a volte ad una lotta quasi sovrumana (contro le avversità, le invidie, i mali) e continua, il cui esito si caratterizzava sempre inquietante e imprevedibile. Nel mondo del commercio, allora come oggi, era necessario sgomitare e rivaleggiare con colleghi agguerriti e spesso spietati. Ma la forza di volontà e la spietatezza negli affari non erano le uniche doti su cui fare affidamento; fondamentale e connaturata a tale mestiere era l’intelligenza previsionale. Il mercante dimostrava quasi sempre un’inclinazione naturale di un’intelligenza dotata per la previsione, in modo da permettere di conoscere prima di altri il mutare delle situazioni, la sovrabbondanza o la penuria di prodotti, i buoni raccolti oppure i periodi di magra.
Il dinamismo e l’acume dell’attività del mercante viaggiatore si impone anche su un’altra categoria di mercante stabile: il contadino. Plinio il Vecchio, ad esempio, in un passo della Naturalis Historia (XVIII, 225 e sgg.) contrappone il sapere del contadino, definito indocilis caeli, cioè “inesperto di astronomia” e cerca nella terra i segni dei cambiamenti climatici, al sapere del mercante, che osserva attentamente i fenomeni celesti e, novello astronomo, interpreta con la sua ragione e intelligenza previsionale i segni di un kàiros (vantaggio, occasione favorevole) da catturare al volo. Dunque, ad un patrimonio conoscitivo che trae indizi ed eventuali vantaggi da quanto è già accaduto (foglie morte che annunziano l’autunno), si contrappone un sapere che prevede e anticipa (l’osservazione delle Pleiadi) quanto sta per avvenire. Si delinea, quindi, una particolare connessione tra il mercante e il tempo, consistente in una sorta di gioco d’anticipo (informazioni privilegiate e veloci, interpretazioni dei segni celesti) sia nel “cogliere l’attimo fuggente” sia in una vendita ritardata che produceva rincari artificiosi. Un gioco estremamente difficile, mobile e soprattutto multiforme e caratterizzato da un agire quasi sempre spregiudicato.

Tuttavia l’astuzia e la spregiudicatezza dei mercanti e di chi operava nel commercio erano, al contempo, mitigati e addirittura bilanciati da altri aspetti quali la forza e il coraggio di affrontare quel mare avidum nautis, cioè – secondo Orazio – un “mare desideroso di inghiottire marinai” e la funzione civica di chi è in grado di fornire e rifornire una città di merci (una sorta di missione civilizzatrice). Il rischio del mercante che affronta il mare è un motivo molto diffuso nell’antichità e ci riporta agli albori della classicità e dell’epica (pensiamo ad Omero o a Esiodo), messo in relazione con l’opinione comune che considera il mare come infido e pericoloso, il più “giusto” tra gli elementi quando nessuna forza lo sconvolge, il più indomito quando i venti lo agitano. Insomma, la figura del mercante contempla una molteplicità di aspetti estremamente relativi. Astuto, spregiudicato, gran paroliere, ma anche coraggioso, esperto astronomo e navigatore, “atleta”. Il coraggio del mercante era un dato di fatto che nel corso del tempo inevitabilmente collocò tale figura/professione in una gerarchia di valori sociali. Concludo, quindi, con Giovanni Crisostomo che alla fine del IV secolo d. C. offriva una galleria di figure abituate alle inquietanti oscillazioni dell’agone: il guerriero, l’atleta, il martire e su tutti svettava il mercante: “Nessun mercante, subìto il naufragio e perduto il carico, smette di navigare, ma di nuovo percorre il mare, i flutti e il vasto pelago e recupera le ricchezze perdute” (Patrologia Graeca, 47, 309).

 

Vladimiro D’Acunto