Cammino di crescita. What is this?

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Riprendo con questo articolo la rubrica Spiritualità offrendo un nuovo punto di inizio. Il momento è fertile anche per via di una nuova rubrica che trovasi alla linea di partenza: Medicina. Il mio desiderio di trascendere l’aspetto spirituale della nostra esistenza nei fatti di tutti i giorni è ciò che mi porta ad occuparmi di questo argomento. E’ evidente che una parte di noi non è riconoscibile nel corpo (la materia), i pensieri che abitano la nostra mente non sono, come pure la scienza asserisce, rintracciabili nell’encefalo. Una parte di noi è immateriale, senza forma e ne colore, non la si può sfiorare con le mani, non è percepibile ai sensi e tuttavia è sempre con noi.

E’ il nostro spirito, la psiche, la mente, l’anima, chiamatela come volete e fate pure differenze concettuali su queste ultime parole, le vostre idee non ne cambieranno la natura. Essa è sovrana, eminente eccelsa entità della nostra vita. Eppure a volte ci capita di vivere come se questa entità non ci appartenesse. Sono questi i momenti o stadi della vita, in cui pensiamo con il cervello, ragioniamo, usiamo la logica, ci sforziamo di conoscere, di apprendere cosa fare, come farlo, leggiamo, ci informiamo eppure, eppure, la nostra vita non ci soddisfa, il lavoro non ci da soddisfazione, gli amici neanche. Niente riesce a darci quella serenità che cerchiamo.

Queste fasi della vita sono il segnale che abbiamo dimenticato di avere un’anima, uno spirito e viviamo una vita in bianco e nero.

Una frase di Carl Gustav Jung riassume in pieno il focus delle mie parole:

Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l’intelligenza:
lo conosciamo, nella stessa misura, attraverso il sentimento. Quindi il giudizio dell’intelligenza è, nel migliore dei casi,
soltanto metà della verità.

Jung parla di pretendere e di intelligenza ma a cosa si sta riferendo? Sta parlando dell’inclinazione umana a “cercare di capire il mondo” usando la logica e la razionalità. In termini di psicologia umanistica-esistenziale potremmo dire che l’entità dell’ego (Io sono, Io faccio, Io voglio…io, io, io…) ha preso il sopravvento sull’entità del Sé. E il Sè (scritto con la maiuscola) è un’altra parolina per rivolgerci all’anima, alla psiche, ecc… Ma a cosa serve sto Sé? Perché è così importante?

Rogers affermava: In ogni organismo, uomo compreso, c’è un flusso costante teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche, una tendenza naturale alla crescita. La parola importante di questa frase, nel presente contesto, è crescita.

Ma cosa accade se questa tendenza naturale alla crescita viene inibita? Accade che non c’è più realizzazione costruttiva e di conseguenza, la nostra vita è bloccata. Può sembrare un discorso filosofico ma non è forse vero che quando non riusciamo a realizzare i nostri desideri, quando non riusciamo a concretizzare le aspirazioni per le quali ci sentiamo portati, quando ci viene impedito di “realizzare” pienamente la nostra vita, iniziamo a vivere una vita grigia e sofferente?

Ecco, questo è il segnale che è necessario “fare” qualcosa di diverso, qualcosa a cui non avevamo ancora “pensato”, qualcosa che ci era “sfuggito”. E’ il segnale che è giunto il momento di riattivare quel processo di crescita che ha subito una battuta d’arresto (come sottintende Rogers) e che possiamo iniziare a prendere in considerazione che il “capire” ci mostra solo metà della realtà (come dice Jung).

Questo è il senso di avviarsi a compiere il cammino di crescita menzionato nel titolo. Bisogna essere onesti con se stessi, abbiamo bisogno di riconoscere quella parte adulta di noi che ci dice: sono stato bambino, sono andato a scuola, ho fatto le mie esperienze, ho imparato a ragionare con la mia testa, adesso sono adulto, sono cresciuto.

Ecco qui la grande illusione: sono cresciuto, sto bene così, non ho bisogno più di imparare. In effetti, è proprio da adulti che inizia il cammino più importante: quello della consapevolezza. E di questo ne parleremo nel prossimo articolo.

Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte