Fuga a Madrid

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[box_success]di Alessio Cipriano[/box_success]Quando qualcuno mi chiede perché sono andato a vivere all’estero rispondo: “le strisce pedonali”. Ascoltando questa risposta, la gente ride, pensando sia una battuta, o mi dice “no, sul serio dai, perché te ne sei andato?”. Ritengo che questo concetto, in piccolo, riassuma la vera ragione per cui un italiano, o almeno quelli come me – gente normale, non i famosi “cervelli in fuga” abbiano preso il coraggio a due mani e si siano buttati, abbandonando affetti, abitudini, ricordi. I primi giorni era così: al momento di attraversare la strada sulle strisce, inspiegabilmente (almeno per me), le macchine si fermavano, aspettando che quel ragazzo, spaesato e un po’ timoroso, compisse il suo diritto di pedone di avere la precedenza attraversando la strada prima dell’automobile. Non che prima non fossi mai stato all’estero, anzi avevo già avuto la fortuna di girare un bel po’, ma c’è un’enorme differenza tra essere un turista italiano in giro per l’Europa e viverci: nel primo caso ci si trascina dietro tutte le caratteristiche, belle e brutte, dell’italianità, restando in una “bolla” che impedisce di vedere le reali potenzialità di un luogo. Credo che la spiegazione del perché tanti italiani siano in giro per il mondo sia da ricercarsi nella proiezione esponenziale di questa basilare regola del vivere civile, la precedenza ai pedoni sulle strisce. Dal 2009 (con un breve intervallo romano) vivo in Spagna, prima a Valencia, ora a Madrid; ad oggi non tornerei indietro. Poter vivere la quotidianità sapendo precisamente cosa posso e non posso fare, avere ben chiare regole, diritti e doveri del cittadino, non avere a che fare con l’arroganza e l’ignoranza di persone che, in mancanza di un senso civico diffuso, credono di poter fare ciò che vogliono, ha migliorato sensibilmente il mio livello di vita. Insieme, ovviamente, ai servizi che uno Stato, con la S maiuscola, assicura ai cittadini: infrastrutture, parchi tenuti in perfette condizioni, spazi dove fare sport gratuitamente, servizio di bike sharing con piste ciclabili sparse in tutta la città, trasporto pubblico efficiente, treni non decadenti (anche semplicemente quelli del circuito Cercanias, cioè i nostri Regionali) e tanto altro.

Certo, in questo momento c’è da fare i conti con la famigerata Crisi e con un livello di disoccupazione che qui in Spagna sfiora il 25%. Il mercato del lavoro è fermo, si fa fatica a trovare opportunità e un lavoro degno per un ragazzo sui 30, laureato e con una buona esperienza alle spalle. Circa un anno fa, quando il governo Berlusconi era al tracollo e sembrava che la Crisi fosse sul punto di inghiottire l’Italia in un abisso senza ritorno, una nota trasmissione televisiva italiana trasmetteva un reportage nel quale dipingeva ancora la Spagna come la “terra promessa”, dove la crisi sembrava un temporale estivo, qualche goccia innocua e il sole che tornava subito a splendere. Un piccolo incidente di percorso che non avrebbe intaccato minimamente tutte le belle cose che la penisola iberica prometteva ai giovani europei arrivati in massa fino a pochi anni prima. Oggi gli stessi organi di informazione pubblicano articoli dove affermano che, in fondo, l’Italia attuale è meglio dell’illusione spagnola, o interviste di ragazzi che, delusi e impauriti dalle forti difficoltà del momento, tornano a casa, spesso sputando nel piatto in cui hanno mangiato entusiasti fino a pochi mesi prima. Personalmente trovo fuorvianti e strumentali entrambi i punti di vista che i nostri “cari” giornalisti ci propongono. La realtà sta, ovviamente, nel mezzo. La Spagna ha fatto degli errori che sta pagando a caro prezzo e anche i suoi politici, razza che non conosce colori né bandiere, non sono per nulla immacolati, anzi, si sono macchiati di nefandezze spesso simili a quelle a noi ben note. Ma restano delle differenze. Resta la capacità di un popolo di indignarsi, resta il concetto che “chi ha sbagliato deve pagare” (anche se non sempre ciò avviene, specialmente in riferimento al disastro bancario), resta la voglia di rialzare la testa, la capacità di provare un senso di vergogna. E, cosa non da poco, resta l’eredità di ciò che, pur con una gestione quanto meno non oculata delle risorse, lo Stato spagnolo ha dato ai cittadini negli ultimi 20 anni: un Paese con contrasti e problemi ma anche con tanto da cui ripartire. La ripresa della Spagna dipenderà non solo da loro stessi ma anche da ciò che succederà a livello europeo. Una volta passata la Crisi, probabilmente, loro torneranno ad essere un Paese con strutture, parchi, regole, politici che si dimettono in seguito a scandali o che non si ricandidano ab aeterno, mentre temo che l’Italia sarà sempre la stessa vecchia Italia che ho dovuto lasciare, quella dove i problemi non si risolvono mai e dove, forse caso unico al mondo, la volgarità e l’arroganza della classe politica trova spesso radici ben solide nel modo di pensare dei cittadini stessi. Un Paese, quindi, dove non potrò mai far valere il mio diritto di pedone ad avere la precedenza sulle strisce.

[box_tip]Fuga a Madrid di Alessio Cipriano per “CittadinoNews”[/box_tip]