Giovani in-comunicazione.

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Giovani in-comunicazione.

Quanto mi vuoi bene a papà?”. Questa, la domanda che ogni genitore sicuramente avrà posto ai propri figli, quando loro, ancora immacolati dalle immonde schifezze pseudoculturali della società, rispondevano con genuino affetto “tanto” e noi non soddisfatti, giocosi come loro, aggiungevamo “tanto quanto?” e loro rispondevano allargando le braccine “tanto tanto”.

Poi i figli crescono, finisce il tempo di raccontare loro le favole come ultima cura e attenzione della giornata per la loro anima, ed entrano in quell’orrendo sistema tritacervelli che è divenuta la scuola di oggi. Nessun buon educatore, conoscendo bene che la mente lavora per immagini e non per concetti, avrebbe abolito facendola sparire nell’oblio delle cose inutili, la tavola pitagorica (così, giusto per fare un esempio). Nessun esperto di pedagogia, sano di mente, avrebbe eliminato dalla scuola l’abecederaio con le figure di animaletti e piante. Nessuno. Quella, la scuola, che con tanto sforzo avevano istituito i nostri nonni (per non essere più schiavi dell’ignoranza) l’abbiamo consegnata ai nostri figli, e ai nostri nipoti, ridotta oramai ad un mezzo di distruzione di massa. Distruzione, in primis, della capacità soprattutto, di discernere tra il bene e il male delle cose del mondo, e in seconda battuta, distruzione del mondo emotivo, dell’appiattimento dei sentimenti, dell’annichilimento di tanti giovani ragazzi a dei modelli socioculturali che hanno il triste sapore dell’ultimo wurstel reclamizzato alla tv; un wurstel che non sa di niente, senza gusto, anche perché i suoi ingredienti sono tutti realizzati all’insegna dell’artificialità, che tanto va di moda, così come risulta la mente, piena di oggetti virtuali e artificiali, dei nostri ragazzi.

Cosa fare allora? Come poter essere dei buoni genitori o, quantomeno, sufficientemente buoni, a dire di Donald Winnicott (pediatra e psicoanalista inglese)? Non credo che il dialogo possa essere un buon sistema per andare incontro ai giovani, soprattutto per via della caduta dei canoni e delle regole che sono alla base di una buona comunicazione, e queste regole sono il significato stesso delle parole. Il vuoto culturale ha distrutto la semantica e l’etimo; l’educazione orientata a riempire la pancia dei nostri figli ci ha fatto dimenticare che essi hanno anche un’anima, una mente, una psiche da nutrire. Come si possono comunicare i valori universali della vita, quindi, quando la semantica è allo sbaraglio e non si è consapevoli di avere un’anima? Se le parole hanno un senso personalizzato per ognuno di noi e vengono usate solo per cannibalizzarci a vicenda allora è chiaro che un’educazione basata sul dialogo, sulla comunicazione intesa come nutrimento dell’amore e veicolo di emozioni, di affetti e di sentimenti, risulta vana. Mi viene in mente la Torre di Babele, forse era proprio questa la profezia biblica, parliamo la stessa lingua e comunichiamo senza comprenderci poiché abbiamo perso il senso delle parole, parliamo e non ci capiamo, abbiamo distrutto il significato originale delle parole, che sono poi la base della civiltà.

Con questi giovani, allontanati dal senso della vita e dai bisogni dello spirito e con cui è sempre più difficile comunicare, è necessario inventarsi un nuovo modello di comportamento. Un modello che li possa scuotere dal sonno tecnologico in cui, come ipnotizzati, sono piombati a causa dei cellulari e dei social network e dei videogiochi, della pubblicità (che ipnotizzano anche noi adulti chiaramente). Non immaginate quanti giovani e meno giovani, a causa dei loro disagi psicologici, perché non hanno un lavoro, perché non hanno amici, perché … vivono chiusi in casa connessi solo alla rete. Chiusi in un impenetrabile mondo psichedelico.

Il modello che propongo ai genitori che, ancora attenti a queste tematiche educative e che percepiscono la gravità del vuoto della conoscenza in cui sono precipitati i nostri figli (e non solo loro) suggerisco di avvicinarsi ad un cammino diretto verso l’introspezione e la ricerca spirituale. A questi genitori la cui figura è in pericolo, poiché nessuno la fuori ci dà il ruolo che meritiamo, propongo di aprire i libri sacri del Vangelo, della Bibbia, dei Veda, del Corano, del Libro Tibetano dei Morti, del Libro Rosso di Jung, dei Ching, di leggere la storia di Siddharta Gotama detto il Buddha…propongo di svegliarsi. Se la parola spiritualità vi spaventa e sentite puzza di religione allora avvicinate a figure importanti del passato, ci sono tanti filosofi come Kant, Calvino, Copernico, Bacon, Spinoza, Seneca, Platone, Nietzsche, che hanno detto e scritto cose importanti, quelle “cose” che sono oggi, o almeno così le vediamo, così lontane dal vivere quotidiano perché considerate “strane” e “inutili”.

Si possono fare anche delle esperienze costruttive e di crescita personale, come andare in un gruppo di aiuto, spegnere questa maledetta televisione, mettersi in contatto con altri genitori. Mettetevi in discussione, apritevi all’autocritica, andate da un terapeuta e abbandonate sulla poltrona del suo studio le vostre sofferenze, i vostri dubbi, le vostre incertezze.

Fate questo soprattutto per il vostro bene che poi, di riflesso, è anche il bene dei nostri figli. Se sta bene l’albero e gode di buona salute anche i suoi frutti saranno dolci, saporosi e senza macchie.

Emiliano Abhinav Boccia Orizzonte