Gli scheletri nell’armadillo – intervista a Zerocalcare

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Zerocalcare è una specie di cantautore. Di quelli vecchia scuola, sessantottina e dal sapore francese. Quel cantautorato buono e umano fatto solo di una voce – magari bassa e un po’ rauca – e una chitarra pizzicata giusto quanto basta per poter essere una bella melodia. Mi piace l’idea di poter intravedere nei suoi disegni qualche marcetta di Brassens o qualche rima di Gainsbourg. Le sue storie sono così asciutte e piene allo stesso tempo; qualche linea di inchiostro ben stesa, le giuste campiture, qualche sbavo di ombreggiatura e parte del gioco è fatta. L’altra parte la fanno le parole, i pensieri, i respiri che quasi si sentono esalare tra una vignetta e l’altra. Storie così minime eppure così intense. Frullati di rabbia, di angosce, di ansie, di insicurezza ma anche di spietata ironia, di schietta denuncia, di passioni poste in bilico tra la debolezza e il coraggio. C’è il lavoro di un bravo autore, insomma. Di un sapiente narratore di storie, che ha la giusta sensibilità per poter percepire e saper raccontare il mondo. Zerocalcare possiede il dono di sapersi schiudere al lettore senza mai svuotarsi, privarsi di se stesso o essere indiscreto. E’ un vero dono, questo dono. Perché ti permette di essere più di un paroliere. Più di un musicista. Ti fa essere cantautore.

Del suo lavoro sono candidamente innamorato (e forse questo manda un po’ a quel paese la mia obiettività, ma francamente poco importa) e da un po’ di tempo quando devo fare un bel regalo a qualcuno non ho esitazioni e corro a impacchettare uno dei suoi libri. “La profezia dell’armadillo” è forse il mio preferito tra i tanti, ma non perché abbia qualche valore in più rispetto agli altri. Semplicemente, perché – come molti, suppongo – dopo averne letto l’ultima pagina ho trattenuto il fiato per un po’. Per una manciata di secondi, la mia mente ha provato ad assorbire fino in fondo quell’ultima tavola, quasi nel tentativo di attutirne il colpo. Ricordo di aver provato una sensazione simile dopo aver letto l’ultima frase de “il visconte dimezzato” di Calvino o dopo aver girato l’ultima pagina di “Winesburg, Ohio” di Anderson. E allora lì ho capito una cosa: che il tizio che aveva scritto e disegnato quella storia meritava tanto rispetto. E tanto di cappello.

Non una delle sue storie mi ha mai deluso (ripeto, forse è il mio non essere obiettivo a parlare ma, come sopra, poco importa) e sono talmente avanti nella mia dipendenza che penso riuscirò a perdonargli anche qualche clamorosa caduta di stile (che in ogni caso spero non capiti mai, e del resto non vedo perché dovrebbe). Valerio Mastandrea, altro nome interessante, pare pensarla come me e infatti pare che proprio da “la profezia dell’armadillo” sta uscendo fuori un film.

In tutto ciò, Zerocalcare me lo ritrovo al Comicon di Napoli. E’ uno dei pochi nomi che davvero mi interessa e l’ho aspettato per due giorni. Ora è qui allo stand della “Bao” (la casa che pubblica le sue opere) e in una maniera del tutto proletaria, si è seduto e ha iniziato a fare dediche e disegni con tanto di panino pronto a fianco, giusto per tamponare la fame durante quelle quattro ore circa in cui stoicamente non smette di disegnare e concedersi un po’ ai suoi lettori. Posso fargli qualche domanda (lui intanto non smette di disegnare) e vorrei fargli i miei complimenti anche solo per questo suo modo di fare. Vorrei complimentarmi per quello che è, non solo per quello che fa. Ma ho paura di sfociare nel patetico, e poi la situazione non sembra di quelle più opportune. Semmai un giorno mi capiterà di poter spendere un paio d’ore con lui, allora glielo dirò, e gli dirò anche di quanto sia confortante sapere che da qualche parte nel panorama culturale italiano ci sia anche lui. Ma adesso no, non mi sembra proprio il caso.

Cancello e riscrivo almeno un centinaio di volte un centinaio di domande. Per un attimo mi immagino come uno dei suoi disegni, con gli occhi sbarrati e la faccia aperta ai dubbi. Vorrei quasi un armadillo anche io che mi suggerisca la cosa migliore (o peggiore) da fare. “Dimmi, amico armadillo. Tutto ciò che mi deresponsabilizza mi interessa”. E sorrido.

E allora decido. Tre domande. Una per dirgli quanto è bravo, una per sapere qualcosa in più di lui, una per salutarlo col sorriso, rimanendo incastrato in quel suo mondo fragile, anarchico e bellissimo.

D.D.  Leggendo i tuoi lavori, si intuisce che dietro non ci sono solo modelli fumettistici. C’è un qualcosa, un modo di raccontare, un modo di leggere la realtà che rimanda facilmente a paesaggi letterari. Certi scorci e interpretazioni di Rebibbia – ad esempio – sembrano quasi richiamare le periferie di Pasolini. Quali sono gli scrittori che hai come riferimento?

ZC.  Bè, ti ringrazio per la citazione di Pasolini, anche se… Non posso dire di avere o usare veri e propri modelli letterari, anche perché poi uno passa magari per arrogante. Di sicuro, però, c’è un autore che mi piace particolarmente ed è Lansdale. Trovo molto affascinante il suo modo di creare storie fondamentalmente d’azione però con dei dialoghi molto divertenti, un ritmo sostenuto, e in cui ci sono sempre delle tematiche sociali, anche magari declinate in maniera “non seria”… lui riesce a raccontare la vita di tutti i giorni del Texas mostrando in qualche modo il problema del razzismo, la disoccupazione, la crisi, etc. La cosa che mi capita più spesso, quando leggo queste storie, è pensare “ammazza, vorrei saper tratteggiare questo tipo di cose qua…!”.

D.D. Senti, faccio una domanda forse un po’ impegnativa, ma ci tengo a farla: vorrei sapere se alla fine sei riuscito almeno a capire, a scoprire cosa sia questa “leggerezza”?*

ZC.  No… se guardi come campo, con quest’ansia continua che anzi mi peggiora di giorno in giorno… direi che sono ancora lontanissimo dal capirla (ride)… boh, vediamo un po’…

D.D. Ok, un’ultima domanda. Leggera, un po’ per equilibrare la precedente, un po’ per chiudere con un sorriso. Ma, alla fine, te la sei fatta Scarlett Johansson?**

ZC.  (Ride) Eeh… Scarlett Johansson l’abbiamo vista col binocolo…! Chiunque pensava il contrario era decisamente un illuso, guarda…!

Danilo D’Acunto

*Mi spiace, ma per capire questa domanda dovete aver letto “la profezia dell’armadillo”. Compratelo e mi ringrazierete.

**Il riferimento è a una delle sue ultime storie, dal titolo “London report” che potete leggere sul suo blog (zerocalcare.it) o cliccando qui  http://www.zerocalcare.it/2014/03/31/london-report/#more-965