Il Punitore (extended version)

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[box_success]di Danilo D’Acunto[/box_success]Il suo nome è Frank Castle, ma ha smesso del tutto di usarlo quando ha deciso di diventare il Punitore. La sua storia personale è tanto travagliata quanto quella della sua testata editoriale, infatti quest’ultima ha subito sempre modifiche, riedizioni, trasformazioni, dovute per lo più ad esigenze di vendita. La Marvel (la casa editrice che lo stampa) lo fa nascere come un avversario di Spiderman nel 1974 (questo perché sin da subito il personaggio si presenta come uno spietato giustiziere), dopodiché gli concede uno spazio tutto suo. In seguito la serie venne annullata “uccidendo” il personaggio e poi tentata una prima ripresa trasformandolo in un giustiziere dell’aldilà (The Punisher: Purgatory del 1998). Ma il progetto non ha successo, complice anche l’innaturalezza della cosa, e quindi viene tentato un nuovo esperimento di “rinascita” affidando il personaggio allo sceneggiatore Garth Ennis (per chi non è dell’ambiente, fate conto che lui è un po’ come il Quentin Tarantino dei fumetti, solo 10 volte più inventivo, 100 volte più bravo nella narrazione, e 1000 volte più estremo), il quale dal 2003 diede vita a una mini saga che ha consegnato ai lettori un antieroe profondamente diverso da qualsiasi altro fumetto, dai toni adulti e violenti, molto aderente alla realtà. Oggi il Punitore non è più sceneggiato da Ennis ma si mantiene sulla falsariga da lui aperta, anche se a volte torna ancora la tendenza a scivolare nel ridicolo, come ad esempio è successo in una delle ultime saghe che vede Frank Castle morire e rinascere sotto forma metà umana e metà cyborg dal nome di FrankenCastle. Per fortuna questo obbrobrio è stato ignorato e subito messo da parte.
Il Punitore (o Punisher, dato che adesso anche in Italia viene identificato con il nome originale) è il più controverso dei supereroi, quasi sempre in contrasto con tutti i suoi “colleghi” dell’universo Marvel, soprattutto per via dei suoi metodi violenti del suo modo univoco di applicare la giustizia, vale a dire l’eliminazione fisica dei criminali. E’ inoltre uno dei pochi supereroi a non possedere particolari abilità (tranne la conoscenza delle arti marziali) né tantomeno poteri speciali, né infine materiali di supporto che lo rendono più forte (come ad esempio l’armatura di Iron Man di Tony Stark). E’ un personaggio fatto di muscoli e armi, e i suoi avversari non sono i tipici supervillains dei fumetti ma realissimi mafiosi, narcotrafficanti e mercenari.
Frank Castle è un uomo cresciuto e traumatizzato dalla violenza del Vietnam, al quale il destino ha tolto qualsiasi tipo di umanità e sentimento privandolo della moglie e dei figli, vittime inconsapevoli di una sparatoria tra gang rivali in Central Park. Da allora, l’odio verso la criminalità è l’unico motore che lo muove e riempie la sua vita; è un soldato che ha rinnegato se stesso chiudendosi in posti isolati dai quali esce soltanto per compiere il suo lavoro, in totale solitudine, silenzio e spietata efficienza.
E’ una persona reale, che sanguina, lontana anni luce dai costumi e le epiche battaglie dei suoi “super” colleghi. Il fulcro narrativo che si percepisce nella sua storia è l’interessante constatazione di come la natura umana sarebbe portata a rinnegarsi (imbestialendosi in un hobbesiano homo homini lupus) qualora si decidesse di agire in una vera e propria “caccia” ai criminali. E’ come se ci mostrasse l’abbrutimento della nostra morale quando non si hanno super poteri che perorano la causa contro l’ingiustizia (e che dividono il mondo banalmente e superficialmente in “buoni e cattivi”) e tutto diventa un affare fatto di sangue, pistole e rabbia. Da questo punto di vista è interessante paragonarlo a esempi di vita quotidiana, come quando ci si scaglia troppo facilmente contro la “polizia assassina” (si veda, in questo proposito, il bellissimo e antiretorico film di Sollima, “ACAB”), soprattutto noi che abbiamo (o dovremmo avere) ancora in mente nomi quali Pinelli e Calabresi.