L’IDENTITA’ NELLA COPPIA OMOSESSUALE

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[dropcap]L[/dropcap]a prima coppia omosessuale di cui si ha notizia nella storia è comunemente riconosciuta in quella di Khnumhotep e Niankhkhnum, una coppia di ragazzi egiziani che visse intorno al 2400 a.C. I due sono dipinti in una posizione in cui si baciano sul naso, la più intima posizione nell’arte egiziana. Dal 2440 a.C. a oggi ne è passato di tempo e la cultura umana nel corso dei secoli ha differentemente valutato la condotta omosessuale, andando dalla demonizzazione medievale alla criminalizzazione degli atti omosessuali principalmente durante l’epoca del nazismo, per giungere ai giorni nostri a un’accettazione talvolta sfociante in atteggiamenti d’idealizzazione, dietro i quali s’intravede però con facilità una tendenza all’emarginazione.

L’evoluzione scientifica in quest’ambito di studi è per lo più dovuta alle tante ricerche condotte negli Stati Uniti fra gli anni ‘70 e ‘80, che hanno dimostrato, attraverso confronti fra campioni di persone omosessuali ed eterosessuali, la non veridicità del costrutto “disturbo mentale” per spiegare l’omosessualità.

Se, nel 1951 ancora era inserita tra i disturbi sociopatici di personalità e nel 1968, era considerata come una deviazione sessuale pari alla pedofilia, al feticismo e alla necrofilia, nel 1973, l’APA (Associazione Psichiatrica Americana) cominciò a considerare l’omosessualità non patologica: operò una distinzione tra omosessualità egodistonica ed egosintonica; era considerata malattia solo nell’accezione egodistonica, perché vissuta dalla persona non in modo piacevole ma come causa di stress e di difficoltà relazionali. Nel 1987 scompare anche tale differenza, il vissuto egodistonico è imputato non direttamente alla persona ma come il risultato di un disagio psicologico evolutivo non necessariamente legato all’omosessualità.

Nel 1993 anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) accettò e condivise la nuova definizione. Amare una persona dello stesso sesso, provare una forte attrazione sessuale nei suoi confronti e avere rapporti sessuali con questa, non è una malattia ma solo una scelta. La consapevolezza di un’attrazione per il proprio sesso compare nella pubertà o nella prima adolescenza; si stabilizza verso la fine di tale periodo e non esclude, soprattutto per la donna, la presenza d’interessi eterosessuali. Da un punto di vista sociale e culturale si può dire che ogni società e ogni cultura ha contenuto e contiene persone a comportamento omosessuale, inoltre è stato dimostrato che ogni individuo passa attraverso una fase omosessuale fisiologica durante il suo sviluppo affettivo (Complesso Edipico).

Gli studi sull’origine dell’omosessualità hanno dato luogo principalmente a due filoni, le teorie biologico-genetiche e le teorie psicologiche. Per quanto concerne le prime, non esistono dati univoci e consistenti, sembra che differenti livelli d’ormone androgeno in circolo nella vita fetale siano responsabili della scelta omosessuale. Tali dati però sono stati ampiamenti messi in discussione e i pareri discordanti portano, ancora oggi, ad aprire dibattiti e indagini sul possibile ruolo di fattori genetici alla base dell’omosessualità. Per quanto riguarda le ipotesi di tipo psicologico, ricordiamo che, da Freud, sono stati numerosi gli autori che si sono impegnati nel tentativo di chiarire il significato profondo dell’omosessualità. In questi studi non si parla di un destino biologicamente determinato né, fortunatamente, di una disgrazia difficile da comprendere, ma solo di una sfavorevole risoluzione inconscia di un conflitto affrontato da ogni bambino. Freud fu il primo a dubitare che l’omosessualità fosse una malattia, egli vide nell’omosessualità un mancato superamento del Conflitto Edipico, legato a timori di castrazione per l’uomo e all’invidia del pene per la donna. Secondo Freud e altri studiosi, nell’omosessuale maschio il risentimento contro il padre impedisce l’importante processo d’identificazione, fondamentale per la scelta della propria identità di genere. Per identificarsi positivamente con il suo ruolo sessuale, il bambino/a deve aver stima per il genitore del suo stesso sesso e deve sentirsi da lui amato e stimato; inoltre, l’adulto omosessuale è spesso uno che non ha vissuto i suoi anni di gioventù ben inserito nella vita di gruppo dei giovani dello stesso sesso. Tali esperienze giovanili portano il soggetto a drammatizzare la propria situazione, a desiderare l’affetto di quelle persone dello stesso sesso rispetto alle quali ha sviluppato un complesso d’inferiorità e dalle quali non si sente accettato. Nella donna omosessuale, invece, è stato mostrato un forte rigetto dell’immagine paterna, odiata e minacciosa, con conseguenti idee persecutorie nei confronti del sesso maschile. L’omosessualità femminile è spiegata come un tentativo di evitare per sempre il dolore nato da una delusione d’amore con il padre durante lo sviluppo infantile. La madre, di conseguenza, è idealizzata e come tale amata in fantasia ma vissuta come rigida e pronta a respingere. La relazione omosessuale, allora, diventa la difesa nei confronti della depressione, del vissuto d’inferiorità e dell’insicurezza, sentimenti sperimentati durante lo sviluppo infantile e derivanti dal rapporto con le proprie figure genitoriali; un padre tiranno o una madre forte e possessiva possono portare il bambino a scegliere la strada dell’omosessualità come tentativo di compensazione rispetto a questi vissuti.

La psicologia dell’omosessualità degli ultimi anni ha sostituito il modello patologico con quello affermativo: non esiste un orientamento sessuale normale e uno patologico, un’identità sessuale naturale e un’innaturale. La persona omosessuale non ha il rischio di sviluppare patologie diverse da una persona eterosessuale.

Dal punto di vista socio-politico l’atteggiamento verso il comportamento omosessuale deve essere improntato al rispetto e alla delicatezza nei confronti delle persone con questa tendenza. La società deve fornire ogni sostegno per aiutare le persone con tendenza omosessuale che vogliono compiere un cammino di crescita oltre l’omosessualità e contro l’omofobia che fa credere a chi attua scelte diverse dalla massa di essere individui di serie B e contribuisce in modo significativo alla bassa autostima, all’autosvalutazione e all’autoesclusione sociale e all’assunzione di un comportamento passivo nelle relazioni interpersonali.

Dalle ricerche scientifiche sull’argomento, infatti, risulta che omosessuali, lesbiche e bisessuali presentano una più alta prevalenza di disturbi psichiatrici rispetto agli eterosessuali, tra cui depressione, attacchi di panico, ansia generalizzata, abuso di alcol e stupefacenti, tentativi di suicidio.

L’omosessuale ha gli stessi diritti e doveri di un eterosessuale, lo stesso diritto di essere accolto calorosamente nella società, ha il diritto di amare e scegliere chi amare. Il coming out è il processo di “emergenza” con cui la persona omosessuale si rivela agli altri. È un cammino di apertura, definizione e automanifestazione che, seppur non indolore, rafforza l’autostima e nasconde una forte necessità e un forte bisogno di accettazione che spesso comporta notevoli ripercussioni negative in campo sociale. Molti sono stati offesi, derubati, torturati uccisi…

Vi chiedo: “Se fosse figlio vostro?”