L’Oceano di Saggezza buddhista, il Dalai Lama

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Il Dalai Lama (fig.1), da intendere come un maestro spirituale, è una guida che indica la strada verso l’estirpazione del dolore a tutti i suoi fedeli, attraverso gesti e parole in accordo con gli insegnamenti di Buddha. Già, il dolore! Mentre noi qui soffriamo crisi, minacce atomiche, instabilità, i buddhisti da secoli si concentrano sul come essere felici, su come non provare dolore e quindi nel vedere il mondo sotto un’ottica diversa, ricca di armonia, di amore tra gli esseri e di rispetto reciproco. È questo che si ricava ascoltando i discorsi del Dalai Lama, il quale invita spesso al cambiamento di coscienza di cui necessita questo mondo ormai alla deriva. Una sua famosa frase dice: “Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.” Ma come può il grande maestro buddhista possedere una coscienza così profonda, una conoscenza così vasta ed una compassione così incondizionata? Iniziato fin da piccolo agli insegnamenti buddhisti e reincarnazione di chi lo ha preceduto, l’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso, è l’ultimo di una lista di 14 eminentissime figure.

La carica fu introdotta dall’imperatore mongolo Altan Khan che nel 1578 nominò il monaco principale dell’Ordine Gelupa (Sonam Gyatso), “Tale” (scritto in genere Dalai, significa “Oceano”) e ricevendo in cambio un riconoscimento politico. Però Sonam Gyatso divenne il terzo Dalai Lama perché il titolo venne usato retrospettivamente in quanto Altan Khan decise di riconoscere anche i suoi due predecessori che avevano presieduto l’Ordine monastico dei Gelupa. Per intenderci, i Gelupa (conosciuti meglio dagli occidentali come “berretti gialli”) sono “i riformatori” del buddhismo, loro non prendono parte alla vita mondana in linea con i discorsi tenuti dalla sua maggiore personalità e in un certo senso fondatore: Tsong-kha-pa. Dopo questo scambio di onorificenze con l’imperatore mongolo, la dottrina originaria di tenersi alla larga dalle questioni politiche è andata scemando, sempre nel rispetto del proprio popolo e mai per ingrassare il proprio ego, come invece hanno fatto molti Papi del passato.

Addirittura fu scelta una sede in cui il Dalai Lama dovesse risiedere, il Potala (fig.2: fatto costruire dal quinto Dalai Lama, prende il nome da una montagna indiana consacrata a Shiva) assumendo così le fattezze di un vero e proprio governo teocratico. Il Potala è rimasto la sede del governo fino all’invasione cinese che portò nel 1959 il quattordicesimo Dalai Lama a scappare a Dharamsala in India, dov’è tutt’ora.

Ora, si capisce meglio perché in Tibet i monaci sono parte fondamentale della società ed è l’unico esempio storico al mondo in cui una teocrazia ha un sistema funzionale e non opprime i fedeli.
Dagli insegnamenti del Buddha poteva nascere qualcosa che seguisse un po’ più alla lettera le sue parole, ma non si può  chiedere troppo; del resto qui in occidente notiamo ogni giorno che il vero messaggio di Cristo è spesso travisato  dai suoi stessi fedeli, anche se si avverte aria di cambiamento.

Fausto Mauro