Malacqua – (intervista a Giancarlo Chiavazzo)

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A fine Agosto 2012, dopo la scoperta nei pressi di via Caracciolo a Napoli di una vasca sotterranea contenente 100 mila litri di liquami corrosivi e inquinanti, la Procura della Repubblica aprì un’inchiesta, una superperizia di fine stagione; non proprio quello che si dice un’azione preventiva. L’allarme scattò immediatamente, ma il suono fu prontamente attenuato da parte degli organi istituzionali. Ci voleva, però, un gesto emblematico per far calmare le acque (in tutti i sensi) e così il sindaco De Magistris rilascia un’intervista in costume nei pressi di “mappatella beach”, con tanto di foto e di cinguettio sul social network:”Eccomi al mare, spiaggia libera, mare unico, balneabilità di qualità eccellente, panorama unico al mondo”. Napoli sarà pure bellissima, unica e avrà anche un panorama eccezionale (e chi scrive ne è innamorato), ciò non toglie che i balneanti meritano più rispetto e sulla salute pubblica debba auspicarsi sempre una verità rigorosa.
E’ l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania (ARPAC) ad effettuare il monitoraggio sulle acque di balneazione. L’ARPAC si attiene ovviamente alla normativa italiana che recepisce una direttiva europea. Dal 2010 tale controllo non è più condotto ai sensi del DPR 470/82, ma segue i criteri fissati dal Decreto Ministeriale del 30 Marzo 2010 che attua i principi e le finalità del D.Lgs.116/2008. La nuova legge definisce nuove disposizioni in materia di monitoraggio, classificazione, gestione della qualità delle acque e informazione al pubblico. Il giudizio di idoneità della qualità delle acque  è funzione meramente della presenza di alcuni parametri batteriologici, due per l’esattezza: enterococchi intestinali ed escherichia coli, presi come indicatori. Dunque, non si prendono in considerazione i parametri fisico-chimici (quelli organolettici come odore, colore, sapore e limpidezza, e i solidi disciolti, la durezza, la presenza di metalli e sostanze organiche), sebbene già con la presenza di metalli e di sostanze organiche si entri in quel settore critico per la salute pubblica. I valori di questi parametri contribuiscono fortemente alla determinazione della gradevolezza. La normativa pone l’attenzione sul rischio sanitario. Paradossalmente, un’acqua di qualità eccellente può risultare poco gradevole, semplicemente per il fatto che in essa non vengono rilevati i parametri suddetti, ma nel contempo possono essere presenti anche rifiuti macroscopici, poca limpidezza e colori non naturali. In sostanza, col cambio della normativa, oltre all’aumento del range di balneabilità, c’è stata anche la riduzione sia del numero di analiti (precedentemente erano più di due, appunto) che del numero di prelievi. Sulla costa campana vengono individuati alcuni centinaia di punti di campionamento; l’attività di monitoraggio viene effettuato nei mesi di balneazione, considerando anche il pregresso e cioè i tre anni precedenti: di fatto, è un dato statistico. Oltre ai dati ufficiali, ci sono campagne importanti tenute da Legambiente come Goletta Verde. I dati di Goletta Verde, a differenza di quelli dell’ARPAC che riguardano un intero tratto di costa, sono puntuali, fotografici potremmo definirli. Il controllo viene fatto utilizzando gli stessi parametri e metodologie previsti dalla legge, nel pieno rispetto degli organi istituzionali. Ritornando a Napoli, la balneabilità attuale è molto diffusa, a parte punti critici come Pietrarsa-S.Giovanni a Teduccio e punti che sono esclusi a priori, cioè dalla normativa, alla balneabilità, come le zone portuali e dal 2010, e cioè col cambio di normativa, questo è l’unico tratto con qualità di balneabilità definita scarsa. Fino all’anno precedente, con la vecchia normativa, anche i tratti di Bagnoli e Nisida risultavano essere non balneabili, causa presenza di idrocarburi. Il paragone con la vecchia normativa mette in risalto soprattutto un risultato: i tratti di costa balneabile in Campania sono aumentati del 20-30% (il dato si attesta sull’80% di costa balneabile e solo un 9% di costa non balneabile per inquinamento). In generale, se ci basassimo solo su “dati organolettici”, che possiamo cioè vedere, sentire, toccare e così via, la determinazione di balneabilità sembra sia stata affrontata con sufficienza dalla legge comunitaria e una nazione come la nostra che basa il suo turismo, oltre che sull’arte e la cultura, anche sul mare avrebbe dovuto o comunque dovrebbe farsi sentire, facendo imporre dei limiti più restrittivi tali per cui almeno non si venga contraddetti dalla mera evidenza. A tal proposito, considerare anche i parametri chimico-fisici che contemplino anche la gradevolezza dell’acqua di balneazione e la conseguente fruibilità ci sembra un atto dovuto: non solo aspetti legati alle “complicazioni sanitarie acute”. Perché, è inutile girarci intorno, se si notano rifiuti galleggianti, chi di noi consentirebbe ai nostri figli di farsi il bagno? Giammai vorremmo essere accusati di presunzione, ma sicuramente la risposta sembra scontata. I problemi della qualità dell’acqua di balneazione a Napoli e in Campania sono causati e ingigantiti dalla poca funzionalità degli impianti di depurazione, attestata anche dai pochi controlli effettuati dall’Arpac e dalla maggior parte dei controlli risultano addirittura impianti non conformi: circa il 61% dei controlli risultano effettuati su impianti non conformi. I dati non ammettono replica. Ad oggi sono previsti importanti finanziamenti per progetti sul fronte depurazione da spendere entro il 2015 (ma appaltati entro il 2013…). Ma ciò che più preoccupa è una pianificazione adeguata e indispensabile per produrre risultati soddisfacenti: la Regione Campania non ha ancora un Piano di Tutela delle Acque! Tutti i finanziamenti che ci sono possono fare solo da “toppa”, non integrando il sistema delle acque. La natura è tutta concatenata e, come abbiamo visto, l’acqua di balneazione è frutto di tanti fattori per cui fare interventi puntuali e non integrati con un sistema più ampio è una scelta superficiale che, se da un lato ci dà la possibilità di intercettare finanziamenti, dall’altro non ci assicura che quei finanziamenti siano sfruttati al meglio per la comunità e per l’ambiente.

Armando Falcone