Napoli Comicon 2013 – intervista a Francesco Perchiazzi

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Francesco Perchiazzi, autore del libro “fare cinema disegnato, il cartoon spiegato a mio nipote”. Cos’è, allora, il “cinema disegnato”?

Il cinema disegnato è la cosa più vicina alla concretizzazione di una fantasia. Tutto è finto e tutto è vero. Il cinema disegnato è una passione, ovviamente, e va oltre il muro “cartone animato”, che è una spregevole traduzione letterale, cacofonica, dell’originale “cartoon”. Il cartoon animato, quello si che funziona. (…) Questo libro è un lavoro di ricerca, di studio, ma sempre vis-s-vis con il lettore, senza nessuna piramide o una gerarchia dall’alto.

Come hai orchestrato il tuo bilanciarsi tra l’esigenza di essere chiari nella scrittura e il dovere di spiegare cose e concetti complessi?

Il problema dell’animazione in Italia è che c’è troppo materiale organizzato male. L’informazione e come un un’informazione viene mostrata sono due cose completamente diverse. C’è tutta un’enorme scienza dietro buttata così sugli scaffali. Io semplicemente ho detto “basta” a tutta questa quantità di materiale; ho creduto fosse giusto organizzare queste informazioni e andare verso il fruitore di queste informazioni, non verso questa fantomatica disciplina che viene dall’alto. Il mio è stato per lo più un lavoro di sottrazione.

Quale è stato il percorso che ti ha portato da spettatore a diventare prima cartoonist, illustratore e poi infine designer?

 

Io nasco inizialmente come “sognatore”. Anzi, come “giocatore”. Il gioco è alla base di tutto, nella sua accezione antropologica. Gioco è simulazione, teatro, non-luogo. E quindi da sognatore di mondi fantastici, da piccolo, man mano ho iniziato ad avere interazioni; la mia è una famiglia di disegnatori (…) e col passare del tempo ho sviluppato la mia passione per un certo tipo di disegno, quello in cui le cose sono organizzate, precise, studiate…