Paestum e il suo territorio in età romana nella Tabula Peutingeriana

Paestum e il suo territorio nella Tabula Peutingeriana.

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La Tabula Peutingeriana. Questa mappa prende il nome dall’umanista Konrad Peutinger; scoperta alla fine del XV secolo e di datazione controversa, essa è ritenuta una copia di età medievale, databile tra il XII e il XIII secolo, da un originale romano del IV secolo d.C.. La carta, presumibilmente una mappa dell’antico cursus publicus (servizio postale) ha subito, dal IV secolo, anche delle aggiunte posteriori fino ai secoli VIII e IX, quando assunse l’aspetto che attualmente conosciamo. La Tabula a sua volta si è ritenuto possa derivare dall’orbis pictus realizzato da Agrippa e completato sotto Augusto, la carta ufficiale dell’Impero in età augustea in grande scala, dalle fonti citata come dipinta sotto il portico di Vipsania, estesa in lunghezza, e utilizzata per scopi militari, amministrativi e commerciali. Altre ipotesi datano la Tabula al IX secolo d.C., ascrivendone la paternità ai monaci del monastero benedettino di Reichenau, che l’avrebbero realizzata su impulso della corte carolingia in termini di rievocazione e “appropriazione” dell’universalità romana. La Tabula comunque conobbe ampia diffusione dal XII secolo, finendo ricopiata più volte. La carta delinea, comprese le sezioni che tratteremo, i siti e le strade esistenti nella tarda antichità e nel periodo bizantino-longobardo almeno fino a Carlo Magno. La carta non registra i cambiamenti seguiti alla destabilizzazione normanna, il che ne permette di fissarne un certo limite cronologico.

 

La via Popilia/Annia. Nella Tabula la penisola sorrentina si presenta come una sporgenza montuosa su cui domina la città di Surrento (Sorrento), collegata da una strada al Templum Minervae e all’Athenaion di Punta Campanella. Altri collegamenti con Sorrento sono le città di Stabios (Stabia) e Nuceria (Nocera), quest’ultima situata nell’entroterra a 12 miglia circa. Il fiume Sarno è riportato senza nome ed è congiunto – erroneamente – al nord con il Silarum f(lumen) (Sele): questa congiuntura potrebbe sottolineare la volontà in sede di redazione di distinguere in modo netto i territori compresi tra i due fiumi, i Picentini. Ricordiamo che l’attuale regione Campania non corrisponde a quella storica romana, il cui confine era proprio il fiume Sele: Plinio nelle sue descrizioni cita proprio l’Agro Picentino come l’ultima parte della Campania; mentre a sud del Sele inizia la Lucania sino al fiume Lao. Da Nuceria passava anche la via Popilia/Annia,che da Capua conduceva a Reggio: a 8 miglia vi era Salerno, e da lì proseguiva per Picentia (Icentiae), situata al dodicesimo miglio, da cui partiva una diramazione per Abellinum (a 12 miglia), fino – 9 miglia dopo – al ponte sul Sele dove c’era, secondo l’itinerario, una stazione del servizio postale e/o un villaggio chiamato Silarum/Silaron/Silarium, che segnava l’inizio della Lucania, la strada principale portava fino ad un promontorio (probabilmente Palinuro) e al confine con il Bruttius (Bruzio). La via Popilia/Annia, lasciando la costa tirrenica, proseguiva verso l’interno toccando Nares Lucanas (Postiglione), Acerronia (Auletta-Pertosa) e Foro Popili (Polla). I tratti interni sono quelli più confusi sulla Tabula sia perché la strada non è più indicata, sia perché l’identificazione dei luoghi non è del tutto certa: dal Vallo di Diano sembrerebbe comunque che la via si diramasse verso est in direzione di Sala e Padula (fino a Grumentum e Taranto) e verso ovest in direzione di Teggiano (fino a Lagonegro). Manca nella Tabula, probabilmente omessa dal copista, anche la strada che percorreva la costa da Salerno a Cesernia (Sapri).

La via Aurelia Nova. Il toponimo di Paestum presentava ai primi studiosi della Tabula un omissione finale (Pest-), da alcuni proposta come Pestum, da altri come Pesti, considerando quindi il toponimo volgarizzato. In questa zona sorgevano numerose ville lungo la strada litoranea, che da Paestum raggiungeva le attuali località situate tra le attuali Agropoli e Sapri, passando per Velia e Buxentum. L’esistenza della strada è attestata da Frontino, che riferisce l’episodio (avvenuto tra il 282 e il 281 a.C.) che, nella guerra tra Roma e Taranto, l’esercito del console Emilio Paolo percorse «una stretta via lungo la costa in Lucania» (Strateg.,1,4,1). Il nome di questa strada doveva essere, all’epoca degli Antonini, quello di Aurelia Nova, un percorso costiero alternativo alle vie interne: il nome di via Aurelia Nova, proposto dallo studioso Vittorio Bracco, si basa su due iscrizioni (CIL VI, 31338A e 31370) rinvenute a Roma e dedicate all’imperatore Caracalla (211-217 d.C.) da alcuni funzionari del cursus publicus, riportanti rispettivamente le denominazioni di via Annia cum ramulis e via Aurelia nova cum ramulis; un altro indizio, di età tarda, è dato dall’itinerario seguito da papa Gregorio Magno nel 592, che da Acropoli (Agropoli) si diresse a visitare le comunità cristiane di Velia e Buxentum. L’ulteriore diramazione che da Paestum si immetteva nella Valle dell’Alento fino a Velia permette di delineare un chiaro quadro degli insediamenti di età romana: tutto il territorio lucano-cilentano si presenta percorso da strade secondarie che collegano villaggi, piccoli insediamenti e fattorie, rivelandone un’organizzazione del territorio in villae che sfruttano in modo intensivo le campagne (riccamente produttive) e il mare, integrando tale attività con i principali percorsi via terra e con gli scali marittimi.

Omissioni ed errori nella Tabula. Se per questa zona della Lucania si dispone di qualche informazione, quasi nulla si possiede nella Tabula delle località lucane. La regione si presenta scarsa di centri e vignette, forse zone di “minor traffico” o prive di luoghi attrezzati per viaggiatori, o forse, volendo presupporre la stesura della mappa in età medievale, a rappresentare un territorio spopolato da guerre o da scorribande saracene. Mancano poi nella Tabula, inspiegabilmente, i principali centri di età romana sia della costa (Velia, Buxentum) che dell’interno (Eburum/Eboli, Volcei/Buccino, Atena Lucana e Teggiano). Relegato ad una piccola sporgenza è invece il promontorio di Palinuro, mentre inesatta è la definizione dei fiumi, con l’Alento confuso con il Crati.

Negli scrittori antichi e negli itinerari di età romana si trovavano molte località che sono proprio assenti Tabula. Lucilio (II secolo a.C.) cita un portus Albanus sul Sele (III, v.126), indicandone implicitamente la navigabilità fino all’interno, e per questo ipotizzato come variante della stazione di Silaron; Frontino (I secolo d.C.) ci parla di due monti del territorio pestano, il Calamatrum e il Cantenna (Strat., 2, 4-5); l’Itinerarium Antonini (III secolo d.C.) cita tutte le stazioni comprese tra Salerno e Nerulo di Lucania, ossia ad Tanarum, ad Calorem, in Marcelliana, Caesariana (variante di Cesernia/Sapri?). Cassiodoro nelle sue lettere (Var., 8, 33) ricorda Consilinum e Marcellianum, presso l’attuale San Giovanni in Fonte. L’Anonimo Ravennate (5, 2) e Guido Pisano (74), sulla base di fonti risalenti al IV secolo d.C., riportano invece quello che è stato identificato con l’insediamento di Agropoli o San Marco di Castellabate, Ercula o Herculia, un villaggio costiero collocato fra Paestum e Velia. Lo stesso Guido Pisano cita poi un altro villaggio, Veneris, collocato tra Cesernia e Buxentum.

La confusione tra Alento e Crati è da collocare in età medievale. Citiamo in tal proposito le testimonianze che definiscono Britianorum vallis la zona tra Alento e Velia (Alfano di Salerno, XI secolo), o il nome Castellammare della Bricia (villaggio medievale di Velia).

«Sunt in Lucana portus regione Velini, quo Britianorum vallis amoena iacet.» [Alfano di Salerno]

Tutto questo avviene quindi contestualmente alle “trasformazioni” medievali, in cui tra le tante il nome di Calabria passava dal Salento alla regione attuale, mentre il Bruzio saliva dall’attuale Calabria a designare i territori a sud del fiume Alento.

«Provincia octava Lucania cum Britia» [Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 17]
«Dehinc per Briciam et Lucaniam in Calabriam perrexit» [Romualdo Salernitano, Chronicon, VIII, 1]

Riguardo Velia, questa città era già in decadenza prima della caduta dell’Impero: nonostante l’antico splendore e fama di luogo di villeggiatura e di cure mediche, è considerata a mala pena un villaggio in via di spopolamento. L’assenza dalla Tabula confermerebbe perciò questa ipotesi. Al contrario, Paestum mantiene la sua importanza in età imperiale, divenendo nota nelle fonti per le sue rose (diffusa dai poeti) ma soprattutto aver dato il nome al Sinus Pestanus (l’attuale golfo di Salerno) e a tutta la costa cilentana, indicata con l’espressione Paestanae Valles. Molto dibattuta resta comunque l’ipotesi dell’abbandono di Paestum in età alto-medievale a favore della nuova città di Caputaquis/Capaccio verso l’interno: la presenza della sede vescovile e della chiesa-cattedrale dell’Annunziata sono ritenuti da alcuni studiosi come elementi che ne comproverebbero un abbandono non totale.

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