PSICOLOGIA E RELIGIONE: PERCHE’ CREDO?

0
3347

Il secolo in cui viviamo è considerato un’epoca di attacchi e di massacri contro la vita. Costantemente siamo bombardati da immagini d’interminabili guerre e genocidi di persone innocenti, situazioni di violenza, miseria, manifestazioni di egoismo, minacce che provengono spesso dalla natura stessa ma che sono aggravate dall’incuria colpevole degli uomini. Ogni giorno l’uomo è minacciato da ciò che produce e dal lavoro del suo intelletto, pertanto, vive sempre di più nella paura e nell’angoscia. Ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa e sperare, credere e quando si rende conto che nulla di tutto ciò che fa parte del razionale può aiutarlo, l’unica cosa che sembra necessario fare è quella di implorare la protezione dell’Onnipotente, compiere riti per evitare l’angoscia e tuffarsi nella beatitudine per esorcizzare la paura.

Per alcuni fare un’esperienza religiosa vuol dire andare alla ricerca di risposte rassicuranti dinanzi alle frustrazioni dovute alle leggi del destino e della morte. Per altri rappresenta il tentativo di difendere un sistema di comportamenti e di scelte morali che sembrerebbe minacciato dall’attuale sistema sociale. Non mancano poi coloro che nella religione cercano un rifugio dinanzi all’angoscia che li tormenta e che scaturisce dal vivere situazioni di emarginazione, d’isolamento e di rifiuto familiare.

Molte sono le motivazioni che spingono le persone a credere, a pregare e praticare. Di questo si occupa la psicologia della religione, di come la fede può influenzare la strutturazione della personalità partendo dallo studio delle motivazioni che spingono gli individui verso la religione e analizzando le caratteristiche dell’atteggiamento religioso e il modo in cui i gruppi sociali manifestano le loro credenze, senza escludere lo studio di eventuali psicopatologie legate alla “troppa o poca” fede. Osservazioni condotte in contesti religiosi hanno permesso di definire alcuni concetti. Per l’uomo la religione è speranza, protezione, un rifugio dove nascondersi e sentirsi accolti, un luogo dove regna la pace. Dio è amore, fratellanza, sostegno… Illusione. Ed è proprio d’illusione che Freud parla nella sua teoria sull’origine della religione. Secondo l’autore la religione nasce in una fase relativamente primitiva dello sviluppo umano, quando l’uomo non è ancora in grado di dominare le forze esterne e interne per mezzo della ragione e deve accontentarsi di reprimerle e di tenerle a bada con l’aiuto di altre forze, che hanno la funzione di neutralizzare ciò che egli non sa affrontare razionalmente. Nasce cosi il concetto di divino, si sviluppa un’illusione e su questa illusione si costituisce l’intera esistenza. Forse Freud non aveva tutti i torni. Il suo pensiero oggi potrebbe essere reinterpretato attraverso una nuova chiave di lettura: l’uomo è costantemente alla ricerca di risposte, si affida alla scienza ma non ottiene risposte immediate, cosi si sviluppa l’illusione di poter ottenere quelle risposte da altre fonti, dal divino, da quel qualcosa che deve essere accettato cosi com’è in quanto non può essere studiato, sperimentato ma solo accolto attraverso la fede.

Perché non farlo se questo ci rende felici? Forse credere in qualcosa o in qualcuno permette all’uomo di sentirsi protetto e magari accettare la morte con dignità. Forse l’idea che qualcuno dall’alto ci aiuta dandoci la forza permette all’uomo di accettare i propri limiti e di sentirsi completo grazie all’unione con Dio, forse pregare allontana dall’uomo sensi di colpa e paure rendendo l’esistenza più leggera. Ma forse il troppo credere acceca, allontana dal pensiero critico, ostacola le scelte individuali, genera ambigue ideologie (l’inferno è per i cattivi e il paradiso è per i buoni).

Ognuno tragga le sue conclusioni e decida liberamente che dogmi seguire, che fede professare, se farlo o no e di conseguenza si auto-plasmi al modello o allo stile di vita da se stesso scelto, ricordando che Dio ci ha donato il libero arbitrio, la libertà di scelta.