Quando la parola dà scandalo. L’osceno sempre più frequente. TELEVISIONE: L’IMPORTANTE È SBALORDIRE!

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21 Novembre: Giornata Mondiale della Televisione. Ahinoi, mediocre ne risulterà l’entusiasmo. Qualcuno cercherà di elogiare instancabilmente l’ingegnere scozzese  John Logie Baird, che nel lontano 1925 nel bel mezzo del centro commerciale londinese Selfridges, mostrò il susseguirsi nello spazio di immagini colorandole di tonalità grigie. Merita un applauso. Genio!

Unico mortificante ricordo pronto ad accrescere la radicale degenerazione di un intero mondo … quello televisivo. Il tempo e la tecnologia corrono rapidi, questo lo comprendiamo. Eppure quell’antico marchingegno li ha sempre seguiti, questo lo notiamo. La televisione da semplice elettrodomestico a potentissimo veicolo culturale ed economico. Una gigantesca azienda che produce teleutenti, una magica e pesantissima scatola nera, che allora come oggi, soggiorna in tutte le case degli italiani con almeno due sorelle a farle compagnia. Premendo un pulsante si accende, amplificando l’audio udiamo ancor meglio gli avvenimenti del giorno, modificando lo zoom esaltiamo le forme dei nostri personaggi preferiti. La TV perfeziona la sua definizione, muta nel design, raffina i suoi pollici, il suo spessore, i suoi colori. Qualcosa d’imbarazzante, però, non segue l’ondata positiva dei tempi e traligna a ritmo di format sempre meno brillanti rispetto a quelli degli albori. Format che inseguono pedissequamente valori e tendenze di una società che si rifugia nei “Confessionali” di un Reality per sfogare i suoi problemi, che cerca di arrampicarsi su di un “Trono” pur di trovare l’anima gemella, che tenta la fortuna scegliendo tra i “Pacchi” quello che le farà dimenticare la precarietà economica del nostro Paese. E’ stranoto che decenza e pudore cambiano lo stesso con i tempi ed è quindi rischioso aprire un discorso su ciò che li infrange senza cadere in mille distinguo necessari. Il turpiloquio imbratta con tanta insistenza la produzione televisiva, e nulla ne giustifica i modi. Troppo spesso per non creare sospetto il turpiloquio o l’oscenità sono del tutto esterni e quindi semplicemente giustapposti a vicende e storie cui nulla in più conferiscono se non l’attrazione del proibito o il discutibile piacere dell’esibizionismo. Da ciò viene naturale concludere che, in Arte, questa forma di trasgressione serve soltanto a coprire una profonda crisi formale e di contenuti. Si tratta cioè di un ambiguo surrogato, di un povero espediente, di un fenomeno tanto diffuso che quasi non vi si fa più caso, talora gradendo, talora sopportando. È tutto così banale, così appiattito. Grave!

L’osceno è un importante spia della crisi, carburante tossico di una televisione-pattumiera che ad ogni ora del giorno e della notte trasmette programmi immorali e blasfemi. Non è solo questione di cattivo gusto, di battutacce a doppio senso e grossolane, di immagini grevi e ammiccanti, di confini violenti e terrorizzanti, di barbosissimi dibattiti in diretta, di robuste dosi di sport a pagamento. La frivolezza scavalca i fragili argini dei varietà per infiltrarsi nei TG. Lì però le immagini, truculenti e inadatte ai minori, servono ad aggiornare il mondo. Si tratta di una vera aggressione contro i focolari domestici ormai spenti da immani oceani di noia.

Come aveva vaticinato l’insigne sociologo Brancato, lo schermo è reso inquieto dalla profondità del cambiamento in atto nelle culture e nelle tecniche della comunicazione audiovisiva, ormai proiettata oltre le soluzioni e le estetiche della società di massa, ormai spinta dentro logiche comunicative che richiedono nuove narrazioni e nuovi aedi.

Sta di fatto che nessuno di noi si sottrae al suo richiamo, anzi organizziamo la nostra vita sugli scadenti ritmi imposti dalla televisione. Schiavi dei telecomandi. I bambini ne trascorrono dinanzi 1450 ore l’anno contro le 900 passate sui banchi di scuola. Ogni ragazzino a 7 anni ha già visto 8000 omicidi, 100 atti di violenza – tra stupri, assassini e pestaggi –. Ogni adulto ha visto in media 900 mila spot pubblicitari, non capendo la loro falsità, non afferrando gli inganni. Pubblicità, che per suo interesse non può diventare trasgressiva in senso troppo diretto, ma punta ugualmente su una sorta di osceno implicito, su una serie di sempre più pesanti allusioni che popolano, ognuno può constatarlo, le propagande, spesso assai sofisticate.

Non è dunque per antica vocazione all’illibatezza bensì per fastidio dell’inutile che si preferirebbe più sorvegliata serietà nelle trasmissioni, anche perché, come ha esposto qualcuno acutamente, l’oscenità è una delle forme più ambigue della menzogna.

Televisione batte libro mille a zero? Che rullino i tamburi, che squillino le trombe signori telespettatori: le farse possono mutare in generi migliori.