L’educazione alla salute è un capitolo fondamentale dell’educazione alla vita perché i due beni, salute e vita, sono profondamente interconnessi: l’equilibrio salute non può prescindere dalle scelte di vita. Educare alla salute e alla vita significa educare al rispetto della dignità della persona umana che è caratterizzata dalle sue capacità, abilità, fragilità e dalla sua apertura all’accettazione del dolore e della sofferenza.
Spesso infatti si omette di riflettere sulle fragilità che da sempre limitano l’essere umano e sull’incapacità di dominare il corso degli eventi e non si riflette sul vero significato del dolore e della sofferenza tanto che un evento sgradevole rimane un fatto accaduto non compreso nel suo significato.
Ma è possibile dare un senso alla sofferenza?
La sofferenza è un’umana possibilità, un’esperienza comune a ciascuno di noi ma le forme concrete attraverso cui questa viene vissuta cambiano in ciascuno individuo a seconda di personali attitudini ad accettare ed elaborare l’esperienza del dolore morale. Si tratta di un sentimento che entra dentro il baratro delle cose da dimenticare, un fenomeno vissuto da sempre come fattore disturbante, alla pari di un foruncolo da estirpare. Di certo è un evento increscioso e il peso psicologico che ne consegue può avere un carattere insopportabile, ma è dalla sofferenza ben vissuta che si arriva alla resilienza e ad una nuova vita.
Vivere un dolore, accettarlo, rispettarlo porta ad un processo di maturazione interno che ci permette di riattivare le nostre forze fisiche e morali. Per questo bisognerebbe parlare di sofferenza con una voce amica perché non esiste campanello d’allarme più valido per esaminarsi e reagire. La sofferenza segnala un intoppo, una discrepanza, un punto da affrontare, uno schema di vita da revisionare e modificare. Come un fulmine sceglie di agire e di farlo con un modo decisamente brusco, ma utile a dare quella scossa necessaria per rimetterci sul cammino perduto. Proprio come la quiete dopo la tempesta. Movimenti autoreferenziali come ritiro, depressione, senso estenuante di vuoto e di disfatta, sono comprensibili e quasi del tutto automatici; ma essi non sono la sofferenza, sono invece i meccanismi attraverso cui la vita stessa vuole avvertirci sull’importanza inderogabile di recuperare la nostra missione e il nostro percorso. E giusto per assicurarsi che lo avvertiamo ci invia un messaggio violento, a segnalare l’importanza di concentrarci sul problema, in quanto esso parla di noi, delle rigidità che abbiamo cronicizzato e degli errori sui quali perseveriamo.
Non c’è allora nella vita di fronte all’evidente ed urgente necessità di cambiamento, insegnante e maestra più impeccabile della sofferenza. Essa non può sbagliare, perché conosce molto bene noi e il senso stesso della missione che abbiamo scelto. Quando si focalizza e si accentra su un determinato avvenimento, la sua presenza è un incitamento alla rinascita, un invito pressante ad abbandonare la vecchia pelle ed a vestirsi di novità, riscoprendo la propria completezza.
Infondo, come si legge in una in una famosissima opere, bisogna pur sopportare qualche bruco se si vuol conoscere le farfalle.
Quindi … Benvenuta sofferenza!