Ricordi di una (lunga) estate montecorvinese

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Fine luglio, Roma. Serata torrida. Aria appiccicaticcia. In casa si soffoca e fuori è anche peggio.

Il mio pensiero vola a tantissimi anni fa, quando luglio era “il cuore” dell’estate perché avevi alle spalle già un mese di ferie e, davanti, ancora un mese di vacanze. E le serate di luglio erano quelle più belle.

L’estate, abitando nella frazione Votraci, per me iniziava presto, prima: il 20 maggio, giorno di San Bernardino. Quella prima festa era il promettente inizio delle serate passate all’aperto.

A giugno, con la chiusura della scuola, aveva inizio la routine dell’estate: quasi tutte le mattine al mare, ad ora di pranzo ritorno a casa, sonnellino e poi lunghissimi pomeriggi a giocare all’aperto, in libertà, con i cugini. E la sera passeggiate interminabili al viale Cappuccini.

Per noi estate, sin da piccoli, voleva dire rigorosamente e solo mare. La cabina al lido di fiducia affittata tutta l’estate, dove incontravi mezzo paese. E Montecorvino d’estate era la collina sul mare. In montagna si andava una o due volte al massimo, ma sempre a Ferragosto, per la scampagnata.

L’estate montecorvinese al tempo esisteva davvero. E non parlo solo di un programma fitto di eventi e feste ma parlo della vera partecipazione collettiva.

Nessuno mancava mai a nessun appuntamento e gli impegni o le gite fuori porta si programmavano in base alle feste: il 13 giugno, in onore di Sant’Antonio, c’erano i “fucaronzi” ossia i falò rituali. Tante famiglie organizzavano il proprio falò e l’aria odorava di fumo e di rami bruciati; poi la fiera e la festa di San Pietro, strapiena di folla, bancarelle e giostre. Ricordo l’odore delle gabbie stipate di paperelle e quaglie per i sorteggi. Impossibile non comprare qualcosa di nuovo per tradizione: piatti, bicchieri o un ventaglio. Ma anche un’anguria o delle albicocche. E la sera la gente per strada a mangiare un gelato. Perché sì, al tempo Montecorvino era il regno incontrastato della gelateria artigianale: il Bar Centrale con i suoi limone, nocciola e lo spumone, Vicedomini con le sue mega coppe, Ciccio Angellotti con la coda per fare lo scontrino e Antonio Angellotti per gli amanti dei gusti tradizionali.

Alle tante feste religiose e sagre si alternavano altri eventi (alcuni sopravvivono…): i saggi di danza, le serate dedicate alle lirica (manifestazione questa al tempo criticatissima e oggi ricordata con nostalgia per il suo “potenziale” turistico), il festival delle bande, le serate dell’astronomia. Ogni serata aveva il suo “sapore”: il panino con il prosciutto a Gauro (e la doverosa bevuta alla fontana dopo), le fette di anguria fresca a Sant’Eustachio, il croccante e le “noccioline americane” da sgranocchiare durante i concerti, le pannocchie e “o per’ e o muss” strapieno di sale e limone che mangiavamo a dispetto di ogni regola basilare d’igiene.

E lui il panino con la braciola, che per fortuna resiste ancora nonostante i tentativi di boicottaggio (fatti dagli stessi montecorvinesi!). E, nota bene, il panino con la braciola, l’unico e autentico, si mangia solo allo stand della sagra. Diffidare dalle imitazioni o dalla concorrenza sleale!

L’estate per me finiva ufficialmente con la sagra della braciola ma psicologicamente  un po’ prima, con il “colpo scuro” che chiudeva la gara di fuochi d’artificio in onore della festa della Madonna dell’Eterno. Lì, dopo quel tripudio di colori, quel suono siglava la fine di tre mesi di spensieratezza. Dopo qualche giorno c’erano i giochi di quartiere a regalarci ancora un po’ di allegria ma da lì, la scuola era già dietro l’angolo.

Adesso che bisogna aspettare ferragosto per le ferie sento di vivere in piena contraddizione, nell’inganno: dentro di me so che la vera estate è già quasi finita…e mentre pochi fortunati la vivono io, paradossalmente, la sto ancora aspettando.