The war on drugs

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Adam Granduciel, trasferitosi da Oakland a Philadelphia, conosce ad una festa Kurt Vile, già attivo sulla scena musicale per la sua carriera solista. Gli affini gusti musicali riscontrati nella “chiacchierata alcolica”, incoraggiano i due a mettere su una band dal nome War on drugs – nome ispirato dalle campagne proibizionistiche repubblicane. La formazione originale includerà anche Dave Hartley al basso, Kyle Lloyd alla batteria e Charlie Hall alla batteria e all’organo. Nel 2007 rilasciano il primo Ep autoprodotto e in free downloading Barrel Of Batteries. Un alt-folk che rimanda alla tradizione cantautorale americana di scuola Dylan/Springsteen, in sintesi con chitarre rock style Sonic Youth e armoniche distorte. Stesso suono e primo approccio a soluzioni synth per il loro primo album Wagonwheel Blues, rilasciato nel 2008 per la Secretly Canadian. L’album è diviso strategicamente in tre parti da due canzoni strumentali, come se volesse concedere alla musica l’illusine del riposo prima di ripartire. Il titolo introduce all’ascoltatore un lungo viaggio in autostrada; ma non sarà un viaggio intriso di retorica: certo, dagli scenari descritti nei testi, possiamo discernere a reminiscenze della grande depressione narrate nelle migrazioni di Furore o ai viaggi coast to coast della più vicina e stracitata beat-generation, ma non bisogna attribuire ai War on drugs l’esser citazionisti o ripropositori. Uno spirito romantico, razionale, ambientalista e a tratti anche politico, osserva, si interroga sulla bellezza di tramonti dipinti dall’uomo con fumi artificiali, muovendosi su strade urbane tossiche di inquinamento industriale. Il secondo album, Slave Ambiet (2011), vede la luce tormentato da continui cambi di formazioni e orfana del co-fondatore Kurt Vile, che si dedicherà a tempo pieno alla sua carriera solista. L’impronta compositiva di Vile, impressa dall’imperante esperienza guadagnata sulla scena musicale con la sua carriera solista, si affievolisce a una flebile fiammella e il reiterante work in progress incide sul sound delle dodici tracce. C’è l’impressione che il tema principale sia di ottenere sempre nuove città per iniziare da capo, ma il punto di partenza e la meta sono solo annotazioni puramente nominali. Granduciel conduce i testi in un introspettivo viaggio carico di irrequietezza e disagio. La fuga del compositore abbatte le distanze, congiunge le ballate road music americane con un sound elettronico di stampo europeo e, Slave Ambiet sembrerebbe la prima stesura di un manifesto, ancora acerbo, di una nuova ondata new wave. Nel 2014, dopo innumerevoli cicli di registrazioni e un estenuante lavoro di stesura e riscrittura dei testi, i War On Drugs/Adam Granduciel rilasciano l’ambizioso Lost in Dreams. L’attuale, e a pieno titolo frontman, dissolve l’opaca ombra di Vile ancora presente nello stile del gruppo. L’audace Lost in Dreams travolge pubblico e critica. Non c’è niente di sedicente nel titolo, nessuna pretesa di vanagloria nella voce di Granduciel. La fuga cantata in Slave Ambient trova per meta perdersi nei sogni. I titoli onirici delle canzoni, il sovente ritmo motorik presente nell’intero album, gli intrecci compositivi di synth con pianoforti ambient e tremolanti chitarre, ricamano un’atmosfera sospesa nel tempo, errante in una distesa interminabile che va alla deriva nell’orizzonte.
Lost in dreams è lo zenit compositivo dei War On Drugs/Adam Granduciel, in attesa che ci regali la sua venticinquesima ora.

Giulio D’Ambrosio