Un esempio di virtù eroiche e civiche: il Maresciallo Capo Gerardo D’Arminio

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1994

Donare la propria vita per gli altri, per la patria è il gesto più alto, più nobile, più eroico che un uomo possa compiere. Donare la propria vita per il bene comune, per la comunità in cui si vive, per l’affermazione della legalità costituisce l’esempio civico più elevato che una persona possa immaginare. Realizzare solo una di queste due azioni è molto difficile ma, allo stesso tempo, genera in chi la osserva un senso di grande ammirazione. Compierle insieme è una cosa molto rara da trovare tra gli uomini. Rara, ma non impossibile. Il senso civico di un popolo, poi, si misura anche dalla capacità di saper riconoscere, apprezzare e ricordare ai posteri tali esempi.
Il Maresciallo Capo dell’Arma dei Carabinieri, Gerardo D’arminio è stato capace di sacrificare la sua vita perché la legalità avesse la meglio sull’illegalità, sulla corruzione, sulla violenza, sulla prevaricazione dei diritti altrui, sulla malavita. Ha fatto tutto questo quando, negli anni Settanta, non si aveva ancora, né a livello locale che nazionale, la percezione che la camorra fosse così forte da poter costituire un serio pericolo per la legalità e la democrazia in Campania. Lo ha fatto quando la camorra si trasformava da semplice, anche se radicato storicamente, fenomeno malavitoso in nuova organizzazione camorristica capace di realizzare un vero e proprio sistema illegale e violento contro lo Stato. Erano gli anni in cui la criminalità organizzata prendeva il controllo del territorio in maniera capillare, affidandolo ai propri uomini attraverso un’organizzazione piramidale in cui chi stava più in alto, non solo aveva il controllo carismatico sui suoi subalterni, ma aveva anche il potere di comandarli e di gestirli. Il Maresciallo D’Armino si trovò a combattere contro la camorra organizzata senza mai venir meno al proprio dovere, con mezzi inadeguati considerato che in quel periodo non si aveva la percezione di quanto forte e spietata fosse la camorra. Ci sono voluti decenni affinché si prendesse coscienza della complessità che il fenomeno camorristico avesse assunto, della sua capacità di infiltrarsi prima nel territorio e, poi, in vari casi nelle istituzioni.
Il Maresciallo Gerardo D’Arminio è stato spesso ricordato come la “prima vittima di Stato” in Campania. Ciò è vero ed importante ricordare non solo per un mero dato statistico, ma lo è soprattutto perché la sua morte testimoniava quanto l’organizzazione camorristica fosse cresciuta e che, ormai, non aveva paura di sfidare lo Stato con azioni eclatanti. La camorra ad Afragola il 5 gennaio del 1976, uccidendo il Maresciallo dell’Arma ha iniziato la sua guerra allo Stato in maniera aperta, con l’intenzione di dare un esempio a quanti avessero osato provare a fermare le proprie azioni illegali.
Purtroppo, si deve anche constatare che con il vile omicidio di Gerardo D’Arminio non bastò ad avviare una seria riflessione sul pericolo criminale, derivante da un lucido progetto criminoso, che il nostro territorio correva. Né tale riflessione ebbe inizio in alcuni ambienti politici perché si preferì pensare che fosse stato un caso isolato e che non si sarebbe ripetuto. Le forze dell’ordine, del canto proprio, non disponevano dei moderni strumenti d’indagine per cui, per conseguire anche piccoli risultati nella lotta alla criminalità, bisognava esporre i propri uomini a rischi enormi, anche a quello di perdere la vita.
Gerardo D’Arminio aveva svolto il suo lavoro con grande impegno e senza venir mai meno al suo giuramento di servire lo Stato, fino a donare la vita. L’aveva donata nella speranza di un mondo migliore da lasciare ai posteri. Un gesto eroico e unico che aveva richiesto un sacrificio ancora maggiore, lasciare la moglie e quattro figli, cresciuti senza la possibilità di poter abbracciare il papà come tutti gli altri bambini. La sua morte violenta non spezzò solo la sua vita, ma anche quella di un’intera famiglia, cresciuta in maniera esemplare da Anna, la Signora D’Arminio, capace di portare dentro di sé un grandissimo dolore con immensa dignità. Chi ha avuto la fortuna di conoscerla, ha avuto modo di apprezzare le sue qualità umane e il suo profondo rispetto verso il marito perso troppo presto e in un modo così violento da poterlo accettare.

Antonio Vassallo