BOTTLE SHOCK. La rivoluzione del vino

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Galileo Galilei usava dire “Il vino è un composto di umore e luce (…), esso è la luce del sole tenuta insieme dall’acqua”.
“Bottle Shock” racconta la storia incredibile ma vera di una piccola azienda vinicola di Napa che nel 1976 ha scioccato il mondo del vino vincendo un’importante degustazione francese alla cieca, con un 1973 Chardonnay.
In quell’occasione la selezione di vini californiani ha lasciato nella polvere vini pregiati francesi; il sorprendente risultato cambiò per sempre la percezione dei vini statunitensi in generale – e di quelli di Napa Valley in particolare – nel mondo internazionale del vino di qualità.
Non più tardi di 30 anni fa, infatti, i vini della California erano considerati una sorta di scherzo dagli intenditori, e dalla maggior parte degli americani che erano soliti vendere quel vino a non più di $ 5. Uno dei concorrenti è Château Montelena, un vigneto di proprietà di Jim Barrett, ex avvocato che ha abbandonato la corsa al successo per inseguire il suo sogno di coltivazione della vite. Jim è solo uno dei personaggi impegnati in questo racconto di vinicoltori americani che s’innalzano sugli snob intenditori francesi. Il suo personaggio è in costante lotta con il figlio scansafatiche, Bo, che lavora per lui al vigneto; suo braccio destro è Gustavo, figlio di un bracciante messicano, che spera di lanciare il proprio marchio. Entrambi i ragazzi sono infatuati di Sam, un nuovo arrivo in città. Nel frattempo, a Parigi, Steven Spurrier, un inglese trasferitosi in Francia a causa della sua passione per il vino, spera di rilanciare la sua attività, sponsorizzando un concorso; così viene incoraggiato da un amico a visitare la California per aggiungere una nuova trovata al concorso.
Ciò che accomuna tutti questi personaggi disparati e ben disegnati è il gusto e la passione per il vino, passione condivisa dal regista che ha voluto raccontare la storia complicata ma piacevole del concorso di degustazione del 1976. Affascinante e piacevole, la storia è più o meno storia di due enofili: l’uomo della California e il pignolo e snob proprietario di un negozio di vino a Parigi; nel loro primo incontro Jim è confuso all’idea che l’inglese voglia in realtà pagare per assaggiare i vini californiani, ed è anche convinto che il concorso sia truccato a favore dei francesi. Girato nelle valli di Napa e Sonoma, “Bottle Shock” ha una visione romantica della vinificazione e di quel lontano mondo; ciò che resta e colpisce, non è tanto la storia in sé, quanto la spettacolare bellezza del paesaggio della viticoltura, restituita da un’ottima fotografia, e il ricordo della passione con cui ci si dedicava a questa attività.
Se è vero che il film è ambientato in California e sembra essere unicamente incentrato sulla battaglia a colpi di Chardonnay e Bordeaux tra americani e francesi, in realtà racconta le vicende di persone che amano ciò che fanno, lo fanno con passione e ne parlano con discernimento. La loro storia può essere quella di un qualunque e anonimo viticoltore italiano, magari salernitano o beneventano, che lavora sodo e si barcamena alla ricerca di quella opportunità o di quella occasione giusta che renda apprezzabile e famosa la sua produzione; perchè la vinificazione non è una attività come tutte le altre e non solo un lavoro, è una forma d’arte, è la sintesi e il coronamento di tradizioni, esperienza e cultura che si fondono in una sorta di magia. Così uno dei protagonisti: “Si pensa che ci si possa comprare un pezzo di terra, prendere qualche lezione, coltivare un po’ d’uva e far un buon vino; ma devi averlo nel sangue, devi crescere con la terra sotto le unghia e con l’aria che respiri intrisa del profumo della vite. La viticoltura è una forma d’arte, il raffinamento del suo succo è una religione che richiede dolore, desiderio e sacrificio”.
Nel film si respira quest’atmosfera di tempi passati, in cui tutto è più semplice, tranquillo, naturale; di una cultura millenaria che si riaffaccia in questo tempo in cui tutto è velocità e meccanica.
La tenacia verso le proprie tradizioni, il legame contadino con la terra nutrice e avara e la solidarietà con chi si condividono secoli di passione e sofferenza “se ce la fa uno, ce la fanno tutti”; anche la storia vinicola è la storia dell’uomo e del mondo.
I modi burberi e diffidenti di Jim Barrett portano alla memoria ricordi di contadini nostrani sempre poco avvezzi al cambiamento e che guardavano con sospetto chi arrivava dalla città con quelle balzane novità come a voler insegnare quello che conoscevano da sempre; mentre Bo, il figlio di Barrett decide di rischiare tutto pur di far partecipare il vino di Château Montelena al concorso; è il segno che c’è una nuova rappresentazione della cultura contadina capace di reinvestire se stessa, di rischiare, ma di farsi conoscere e di uscire dall’isolamento. Alla fine, quando tutti si aspettano che siano i francesi, snob, eleganti, cultori del vino e della nouvelle cousine a vincere, si innalza su di loro il ragazzotto americano, biondo, capellone, con il suo stile californiano, cui Spurrier deve correre in soccorso, facendogli indossare almeno una giacca per la premiazione; ed è una vittoria un po’ anche nostra, di quella cultura che non fa dello snobbismo e della presunta superiorità la sua carta vincente, ma che punta sulla tenacia e sulla qualità.
E poi, in fondo in fondo, chi di noi non esulterebbe alla sconfitta dei francesi?!
Se Bottle Shock (la frase viene da vino che è stato spedito in modo improprio), come ha avuto a dire un famoso critico americano “è il vincente ricordo di un momento in cui la consapevolezza del vino, prese piede in un paese in cui si era stati disposti a giocare al non sofisticato campagnolo per troppo tempo”, questo dev’essere il monito che deve arrivare anche a noi italiani; c’è bisogno, e sta avvendo, di una rivoluzione di gusto e palato che insegni a noi consumatori la bellezza e la pienezza di un buon vino.
Non è possibile che la patria del Barolo e del Nebbiolo piemontesi, del Chianti e del Brunello toscani, dell’Aglianico e del Greco di Tufo campani, sia ancora oggi costretta a vedere sulle proprie tavole pessimi vini in brick di cartone, quasi fosse succo di frutta.
Una piccola curiosità, che ci lascia un po’ di amaro in bocca, la tenuta di Château Montelena è stata recentemente acquistata da un’azienda vinicola francese, produttrice di Bordeaux, Cos d’Estournel.