La libertà di ridere

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“Persino San Mauro quando fu immerso nell’olio bollente disse che era freddo. Il capo dei pagani vi immerse la mano e si ustionò”. E’ quanto affermato da frate Guglielmo da Baskerville nel film Il nome della rosa, tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, durante una discussione con il monaco benedettino Venerabile Jorge. Non credo di esagerare nell’affermare che la storia del pensiero occidentale ha inizio con una sonora risata nei confronti del sapere. Il riferimento è senza dubbio all’episodio dell’anonima schiava trace che, secondo la tradizione, vide il filosofo Talete di Mileto (585 a. C.), cadere in un pozzo mentre camminava a testa in su, completamente assorto nell’osservazione del cielo. Episodio che la dice lunga sul senso del riso, che spesso riveste il saggio ruolo non solo di ridicolizzare persino le cose più serie, ma anche di riportarci alla realtà ed alla vita concreta. Quando nasce il riso? Durante i secoli VII, VI e parte del V a. C. la lirica greca raggiunse il suo culmine ed esaurì il suo compito: quello di manifestare, a livello personale o di gruppo, il dissenso o il consenso rispetto al mondo proposto dalla tradizione. Rispetto all’epica, che non solo enunciava ma anche dibatteva, la lirica si limitava solo ad esporre: nel genere lirico non v’era dibattito, mancava l’antagonista dialettico. Per recuperare questa importante possibilità espressiva, indispensabile alla nuova cultura, non si tornò semplicemente all’epica, ormai legata a schemi storicamente superati, ma si inventò una forma letteraria del tutto nuova, capace di esprimere la conflittualità e di rappresentare la realtà come pluralità discorde di punti di vista: si inventò il teatro, cioè la tragedia, la commedia e il dramma satiresco.

Ovviamente la comicità era assoluta protagonista nel genere più divertente (e dionisiaco) di tutti, la Commedia (komodìa, “canto del corteo che fa baldoria”) e interessava l’atto liberatorio che ne scaturisce, il riso.Gli antichi ridevano quasi sempre per gli stessi motivi per cui ridiamo noi, proprio per questo le loro opere comiche possono ancora divertirci. Per suscitare il riso alteravano e ridicolizzavano ciò che tutti conoscevano o direttamente, per esperienza, o indirettamente, per averne sentito parlare da altri: e tra questi altri c’erano in primis gli autori di opere in versi o in prosa. A livello generale si può dire che l’alterazione comica suscitava tanto più facilmente il riso quanto più era inattesa. Uno dei mezzi per provocare la risata era, infatti, l’aprosdòketon, cioè “l’inatteso” e uno dei modi più usati per ottenere l’inatteso era l’anatropè, “rovesciamento” o la yperbolè, “esagerazione”. Personaggi appartenenti all’epica, al mito, alla storia come, Odisseo, Dioniso, Eracle, Socrate, Euripide e tanti altri, considerati e consegnati dalla tradizione in un determinato modo venivano esageratamente rovesciati e travolti dalla forza sovversiva della risata; l’ingegnoso Odisseo omerico in Epicarmo, ad esempio, non è più l’eroe dell’intelligenza e della sopportazione, ma – in modo inatteso e rovesciato un imbroglione e un vigliacco; Eracle era un eroe noto a tutti, un semidio, il campione del coraggio e della forza bruta, il terribile uccisore di mostri: in Epicarmo è altrettanto terribile e brutale, ma nel divorare e nell’accoppiarsi e via dicendo.

Comicità, riso, ironia hanno rappresentato e rappresentano fondamentali terapie dell’animo e ci aiutano ad affrontare a volte le situazioni e gli eventi più difficili da superare. La funzione catartica, cioè purificatrice, liberatoria della risata (esattamente come il suo diretto contrario, il pianto) possiede un alto valore benefico e salutare perché ci solleva in maniera propositiva e leggera dagli affanni, dalle sollecitudini e, al tempo stesso, ci permettono di focalizzare una contingenza da un diverso punto di vista e riflettervi in maniera addirittura più profonda, disincantata, obiettiva. Insomma il riso è qualcosa di estremamente gradevole e significativo; appartiene alla natura umana ed è indice della propria razionalità e quindi anche della sua capacità di mettere in discussione le verità più accreditate.

Vladimiro D’Acunto